Una passione, la moda. Un obiettivo, la consapevolezza.
Una missione, salvaguardare le conoscenze dell’artigianato locale. Un nome, Nour Najem.
Nour Najem è una giovane stilista libanese; moderna, cosmopolita ma profondamente attaccata alle sue origini e al suo paese, ha sentito crescere dentro di sé il formarsi di una vocazione nobile: rendere le donne meno fortunate di lei altrettanto indipendenti, dando loro la custodia degli antichi saperi artigianali tradizionali, spesso e purtroppo conosciuti solamente dagli uomini che per lucro non esiterebbero a venderli o a dimenticarli.
Questa è la speranza alla base del suo brand, una speranza talmente sentita da averla portata a lavorare senza sosta per avvicinare più donne possibili e dar loro una voce, con la quale farsi sentire. Non solo ci sta riuscendo passo dopo passo, soddisfazione dopo soddisfazione, ma per questo motivo e grazie agli abiti di qualità proposti, è stata anche nominata per il premio del Woolmark Prize 2017, un prestigioso riconoscimento del mondo della moda.
Attirati dai suoi ideali di responsabilità, di sostenibilità e ovviamente dalla bellezza delle sue creazioni, abbiamo deciso di intervistarla per scoprire qualcosa di più su Nour Najem.
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Come ha avuto inizio la tua passione per la moda e quali studi hai effettuato?
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Ho sempre avuto una personalità artistica; sono cresciuta in una famiglia di architetti e di artigiani e sono stata molto influenzata dalle linee, dai colori e dai tessuti da loro utilizzati, fin da piccola. Ripensandoci, credo che la mia passione per la moda sia nata ben prima di quanto pensi: ricordo ancora mia nonna mentre confezionava i propri vestiti utilizzando una macchina da cucire a pedale, mi sembra ancora di sentirne il suono!
Inoltre non avevamo la Tv via cavo in Libano quando ero giovane, e quando infine l’abbiamo comprata mio nonno era solito farmi sedere accanto a lui per guardare Fashion TV, portando la mia attenzione ai movimenti degli abiti, ai colori vibranti e al modo in cui i tessuti cadevano perfettamente lungo il corpo delle modelle. Sospetto che fosse tutta una scusa per potersi guardare le ragazze piuttosto che dimostrarmi di avere un interesse per la moda, come se fosse un architetto esteta!
In ogni caso sentivo che l’industria della moda fosse priva di anima e questo mi destabilizzava parecchio. Cosí ho deciso di studiare biologia all’American University di Beirut per diventare dottoressa. Ma immagino che non si possa sfuggire a una vocazione… Qualche anno dopo, mi sono iscritta alla ESMOD Beyrouth mentre studiavo per il mio MBA alla Lebanese American University. Ed è stato durante uno dei corsi della LAU, quello di imprenditoria, che sono incappata nel modello imprenditoriale del settore moda, è stato come se mi si fosse accesa una di quelle lampadine. Dopo qualche mese, ho fondato il mio brand seguendo lo stesso modello imprenditoriale e in contemporanea ho lanciato la Fondazione Kenzah.
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Hai lavorato per marchi come Elie Saab, Rabih Kayrouz e Caroline Seikaly. Qual è stata la parte migliore del lavorare con loro e quali nozioni ti sono poi tornate utili lungo il tuo percorso personale?
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Ho imparato molte cose, sarebbe difficile elencarle tutte. Tra le più importanti sicuramente la disciplina, la pazienza, l’importanza del lasciar correre l’immaginazione, del non arrendersi mai e del non accettare compromessi.
Ero solita tornare a casa in combutta con me stessa dopo aver speso un’intera giornata su un pezzo che credevo fosse impossibile realizzare, mentre il mio supervisore mi incitava con forza: “Troverai una soluzione creativa, ce n’è sempre una”. E poi di notte sognavo la risposta (questo sembrerebbe essere un tratto tipico degli stilisti). Dopo tante esperienze non mi arrendo mai e non accetto più un NO come risposta.
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Puoi descriverci il brand “Nour Najem”?
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Nour Najem è una linea d’abbigliamento di lusso ma dotata di una coscienza. È indirizzata a un mercato di nicchia di giovani donne che bramano dei pezzi costosi volendo aumentare però allo stesso tempo la loro consapevolezza su certi aspetti. Il brand ha uno stile sensuale e femminile, è definito da linee fluide, esplora materiali seducenti e tonalità d’abbellimento.
Nour Najem si definisce come un’impresa sociale che insegna alle donne sfortunate come sfruttare le capacità artigianali; inoltre, dà loro la possibilità di integrarsi nella forza lavoro, di cambiare la realtà delle loro storie utilizzando l’artigianalità che altrimenti andrebbe perduta. L’importanza delle antiche tecniche artigianali orientali riflettono la donna tipo di Nour Najem che è forte, moderna e intuitiva. Deliberatamente femminili, le indossatrici come le creatici, convengono a un bilanciamento naturale tra confidenza innata e dolce seduzione.
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Chi è la donna tipo che indossa i tuoi abiti?
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Il brand si rivolge a una cliente di età tra i 25 e i 45 anni. Queste donne sono sensibili, acculturate, sicure di sé, femminili, delicate e amanti dell’arte, dell’artigianato e dei beni di valore. Credono nella loro indipendenza e nella loro libertà. Una donna che indossa Nour Najem vuole essere un’imperatrice, un prete, un shamana, ed esserlo a modo suo. I vestiti Nour Najem danno alla donna confidence e valore al suo essere.
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In che modo viaggiare e vivere in diversi paesi ha influenzato il tuo stile e il tuo design?
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Mi ha influenzato moltissimo, sopratutto perché ho avuto un’educazione'”occidentale” in Libano. Ho frequentato una scuola francese a Beirut, e ho imparato molto sulla storia europea, sulla filosofia, cultura generale ed economia.
Ho scoperto la mia cultura personale e l’ho personalizzata durante gli anni d’università, il che è stato un bene perché mi ha resa imparziale, ho potuto sperimentale il mio valore per quel che era, da sola. Viaggiare mi ha permesso di immergermi in luoghi che non conoscevo necessariamente ma in cui mi sentivo comunque a casa. Di osservare le persone, le donne sopratutto, i loro movimenti, il modo in cui si esprimono, l’intenzione e l’attitudine tutte diverse anche nello svolgere lavori semplici come andare dal macellaio o dal panettiere o semplicemente in metro; di trovare le uguaglianze e le differenze da città a città, di capire l’importanza dei soldi, aiutandomi ad integrarmi e creando un universo personale molto ricco definendo l’identità della donna Nour Najem; forte, indipendente e fiera, ancorata alle proprie origini ma aperta ai contatti e all’identificazione con altri paesi e con ciò che questi offrono.
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Sei anche fondatrice della “Kenzah Foundation: Designer with a Conscience”. Cosa significa per te avere una coscienza all’interno del mondo della moda?
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Viviamo in un mondo dominato dal consumismo. Abiti, esperienze, cibo e addirittura le persone! Cercare, comprare, usare e gettare. L’industria della moda ha un impatto molto negativo sia dal punto di vista social che ecologico che economico; e avere una coscienza significa essere consapevoli delle risorse e dei rischi che sono insiti agli abiti che ci vengono presentati, prendendo le giuste decisioni di conseguenza.
Con la fondazione Kenzah ho voluto contribuire positivamente al cambiamento sociale per modificare due punti in particolare modo:
– Preservare e perpetuare l’artigianato tradizionale della regione.
– Dare voce alle donne e creare delle comunità femminili forti nonostante le loro origini sfortunate.
L’artigianato tradizionale e i segreti del mestiere sono sopratutto in mano agli uomini, che purtroppo, guidati dal mondo economico, preferiscono concentrarsi sui lavori lucrativi perdendo di conseguenza anni di conoscenze perpetuate di generazione in generazione. Se non si farà nulla a riguardo, moltissimi secoli di conoscenze artigianali saranno perduti per sempre.
Lo scopo della NGO è quello di tramandare tali conoscenze alle donne considerate marginali. Dando loro tali conoscenze le si integra nella forza lavoro preservando le origini artistiche e culturali allo stesso tempo.
Per ogni collezione Nour Najem disegno nuovi pezzi e dettagli fatti a mano che voglio inserire negli abiti e negli accessori. Poi insegno alle donne della fondazione i saperi dietro ad ognuno di essi, dando loro il materiale e le istruzioni necessarie per farle lavorare comodamente a casa loro. I dettagli e i materiali vengono poi raccolti e portati in fabbriche specializzate dove li trasformo nei capi della collezione. Queste donne sono cosí forti, orgogliose e generose… Credetemi se vi dico che da loro si impara moltissimo, ogni giorno.
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Lavori anche per dare una voce alle donne nel settore della moda. Cosa pensi riguardo al ruolo della stilista donna ai giorni nostri?
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Spesso ci dimentichiamo che uno stilista dovrebbe cercare soluzioni creative ai problemi. Sono molto fortunata di poter vivere grazie alla mia passione ma la considero comunque una grande responsabilità. Da quel che ho potuto osservare, le donne hanno iniziato a lottare per la propria identità solo recentemente, nonostante la società. Sono o boccate dagli ideali romantici che avevamo da bambine, rinforzate dalla Disney e da ogni storia d’amore letta, vista e vissuta o concentrate sul lavorare duramente, sul mantenere un ritmo frenetico e sul ricoprire un ruolo importante che urli indipendenza e potere. Alternano questi due modelli costantemente, come se fossero esclusivi e non se li meritassero mai davvero.
Questi sforzi sono molto evidenti nel mondo della moda: abbiamo infatti le collezioni di brand che attirano la principessa che é in noi e altre che invece richiamano il nostro essere affermate nel business. Come stilista femminile, che conosce molto bene questi dissidi, desidero comunicare alle donne di rallentare tramite i miei abiti, di amarsi e accettarsi indipendentemente da dove sono e da dove vorrebbero arrivare. La parte più importante è apprezzare quel che siamo, andando avanti con la nostra visione e le nostre vite senza metterci troppa pressione e senza dimenticarsi degli altri o di noi stessi soprattutto.
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Qual è il tuo stilista preferito o una tua ispirazione nel settore della moda?
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Ne ho molti e per molte ragioni; Yohji Yamamoto, Dries Van Noten, Azzedine Alaia, Valentino, Etro, Missoni, Rabih Kayrouz…Mi sono tutti d’ispirazione!
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Cosa hai provato quando hai saputo di essere stata scelta per il “Woolmark Prize”?
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Pensavo al “Woolmark Prize” da qualche tempo; sono molto orgogliosa e onorata di poter rappresentare il Libano con Timi Hayeck! Il mio primo pensiero è stato: okay, cosa faccio ora? Devo vincere! Voglio mostrare le mie origini, le mie conoscenze artigianali, quel che so fare…Ero talmente emozionata che ho dovuto darmi una calmata!
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I tuoi capi hanno un’anima particolare. Hanno una struttura ma allo stesso tempo sembrano volare. Come descriveresti la tua ultima collezione?
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Grazie molte! Baraka (benedizione in arabo) è uno stato d’animo, è il notare i miracoli che ci circondano… Anche in mezzo al caos. È cosí che vedo Beirut, dove pure le cose più banali sono elevate. Il modo in cui il nostro cibo si presenta, quella certa temerarietà, e il clima. Per me, questa è la vera definizione di lusso incrollabile. Coraggioso e contro ogni probabilità. Nella collezione Baraka si possono osservare i dettagli fatti a mano, i colori, gli spacchi ariosi e le lunghe vesti estive che richiamano i caftani.
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Puoi dirci la storia di questo vestito?
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Questo vestito è uno di quelli che ci si mette al mattino senza pensarci troppo, sapendo che sarà appropriato, efficiente, sensuale, naturale e confortevole indipendentemente da quel che la vita ci riserverà. È composto al 100% da lino, dipinto e pieghettato interamente a mano all’altezza delle spalle e con una cintura in seta d’organza. C’è una certa familiarità con questo vestito, mi ricorda molto le toghe Greche e i caftani orientali. Esprime perfettamente l’identità del brand: moderna, globale e solida nelle sue origini.