“Emily the Criminal” è una storia su quanto difficile possa rivelarsi riuscire ad arrivare a fine mese quando il mondo del lavoro non fa altro che metterti il bastone tra le ruote, lasciandoti nessun’altra possibilità se non vivere ricorrendo a vie illegali.
Abbiamo chiacchierato con Theo Rossi, il co-protagonista del film di John Patton Ford insieme ad Aubrey Plaza, del suo personaggio e ciò che l’ha ispirato. Theo ci ha parlato del suo passato e del suo presente, tra obiettivi filantropici ed esperienze hollywoodiane.
Perché la nostra società sbaglia nel proprio modo di concepire il tempo: spesso non ci rendiamo conto di quanto sia prezioso, di che moneta di lusso sia poter spendere del tempo con le persone che scegliamo noi, facendo le cose che ci piace fare.
Perché tutti noi, anche gli emarginati, in quanto esseri umani, meritiamo sempre una grande platea di possibilità.
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
Dev’essere una delle cose che mi è più rimasta impressa. L’inizio dell’era dei Blockbuster. Ricordo di aver visto “Star Wars: Return of the Jedi”. Ero piccolissimo, nel cinema, e ricordo che mi colpì un sacco il fatto che Luke indossasse quell’outfit nero, ed era in modalità gangster. Era super preparato e aveva portato il suo gioco ad un livello superiore. Tipo il livello capo supremo dei Sith. Ricordo di aver pensato che fosse la cosa più incredibile che avevo mai visto su uno schermo.
“Emily the Criminal” è stato un grande successo al Sundance Film Festival quest’anno. Il tuo personaggio, Youcef, è un misterioso fornitore di carte di credito rubate, che ingaggia persone che vadano nei negozi e usino quelle carte di credito per comprare beni molto costosi (destinati per essere illegalmente rivenduti in un secondo momento). Quali sono stati i primi pensieri che hai avuto e le considerazioni che hai fatto quando hai avuto la parte e letto la sceneggiatura?
Quando ho letto la sceneggiatura per la prima volta, l’ho amata. L’ho letta in 35 minuti e non riuscivo a metterla giù anche mentre stavo girando un altro film. Mi ha colpito particolarmente, perché mi sono liberato del mio prestito studentesco solo dopo aver fatto “Sons of Anarchy”. Questo è successo parecchio in là nella mia carriera, quindi sapevo bene della difficoltà di portare sulle spalle un debito tanto insormontabile e sapevo tutto di quel mondo in generale. Sono anche cresciuto in un ambiente in cui l’elemento criminale era relativamente presente, anche nella mia stessa famiglia, quindi tutto suonava familiare.
La sceneggiatura e la storia mi hanno intrigato sin dall’inizio.
Come ti sei approcciato al tuo personaggio e al suo modo di muoversi nel mondo? Hai scoperto qualcosa di nuovo su te stesso mentre indossavi i suoi panni?
Ho cercato sempre di capire che cosa provavo e questo semplicemente confermava le mie convinzioni. Nello specifico, che la maggior parte delle volte sento che nessun criminale vuole davvero compiere i crimini. In fondo, c’è sempre un essere umano che desidera ci sia un altro modo. Noi i criminali li estromettiamo dalla società, senza chiederci perché il crimine sia stato commesso. Se troviamo la radice, è possibile anche far presenti alle persone altre opzioni. Quindi, tramite Youcef, ho scoperto che c’è sempre qualcuno che desidera una vita migliore. Spero di averlo trasmesso anche attraverso questo personaggio.
Se pensi a te stesso, al tuo carattere, alla tua personalità, alle tue forze e alle tue debolezze, nel microcosmo del film saresti stato un truffatore di carte di credito o un Dummy Shopper?
Sicuramente un truffatore di carte di credito. Me la caverei bene, probabilmente, come dummy shopper, perché sono in grado di mantenere bassa la velocità del battito del mio cuore dato che corro molto. Quindi, almeno sarei in grado di mantenere la calma. Poi, il fatto che sono un attore probabilmente aiuterebbe. Ma penso che preferirei essere io il burattinaio, perché, come dicono all’inizio: “Non stiamo facendo niente di illegale qui, quindi se volete chiamate pure la polizia”. Meglio mandare i dummy shopper a trafficare in giro e poi dargli una percentuale.
C’è questo bellissimo momento nel film, una delle poche scene intime tra Youcef ed Emily, in cui i due sognano ad occhi aperti quello che farebbero se avessero tanti soldi; lei dice che li userebbe semplicemente per “essere libera e fare esperienze”, mentre Youcef ha intenzione di comprare una grande casa per sua madre. Tu cosa sogni ad occhi aperti?
Io sogno di portare avanti quello che ho attualmente. Proteggere i miei cari e riuscire ad alleviare i pesi che si portano sulle spalle. Ma ci sono così tante cose che si possono fare, immagino. Amplificare quello che sto cercando di fare ora, ovvero prendermi cura del nostro ranch ad Austin. Sono circondato da animali tutti i giorni ed è una vita così lenta e calma quella vissuta al loro servizio. E poi, ovviamente, ci sono i miei bambini e mia moglie. Quindi, semplicemente circondarmi di vita e natura è bellissimo. Sono sempre circondato da forme di crescita, quindi più posso espandere e rifinire questo fenomeno, meglio è per me. Finché riuscirò a farlo, mi riterrò fortunato. Quindi, direi che il mio sogno ad occhi aperti lo sto già vivendo.
A proposito della madre del tuo personaggio, durante la scena di un pranzo, lei fa questo discorso significativo in cui parla di come Dio dia ad ogni persona il suo dono, che in un certo senso diventa un po’ la loro etichetta, il loro epiteto: così, si ricollega al titolo del film. Se Emily è “la criminale”, Youcef è il…? E Theo è il…?
Youcef è l’ottimista. Theo è il nichilista o l’assurdista. Forse più l’assurdista nel senso in cui lo intende Camus. O forse semplicemente un giullare di corte, visto quello che faccio per campare in questa vita.
Quindi, Theo il Giullare.
“Theo il giullare”
Emily fa una serie di colloqui di lavoro senza successo – uno dei motivi per cui finisce a lavorare con Youcef per arrivare a fine mese. Così, il film rappresenta l’inaccessibilità del mondo del lavoro, che è fatto anche di fin troppi eterni tirocinanti (sottopagati). Hai mai avuto esperienze simili? Dove sbaglia la società, da questo punto di vista?
Certo, io ho iniziato come comparsa a Hollywood. Ho iniziato dal fondo del fondo. Non ho mai conosciuto nessuno che facesse parte di questo mondo o vi fosse vicino. Per rimediare un qualsiasi appiglio in questo gioco assurdo, devi fare un sacco di sacrifici che includono lavorare gratis nella speranza di fare qualcosa di più grande. Il detto “il potere assoluto è corruzione” ad Hollywood si manifesta nella sua forma più pura. Quindi, quando le persone al potere sanno che possono sfruttare la gente attraverso il lavoro non retribuito. Non solo nell’ambito in cui lavoro io, ma in generale. La promessa della pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno. Ma quell’arcobaleno non paga le bollette, quindi bisogna essere creativi.
Dove sbaglia la società? Sembra essere costruita su un sistema gerarchico. Le persone hanno bisogno di istruzione e di opportunità. L’unico modo in cui è possibile vedere le abilità di una persona è attraverso opportunità realistiche, quindi penso che sia proprio lì che sbagliamo. Ho l’impressione che non offriamo tante opportunità quanto crediamo. Trovo che a volte siano le opportunità che ci vengono presentate in maniera poco chiara e senza un piano preciso a beneficiare chi le dà.
Cosa ti fa dire di sì ad un progetto?
Sono sempre le persone.
Ma oltre a quello, qualcuno di recente mi ha detto qualcosa su cui sono d’accordo. Fai ogni progetto per un motivo. A volte, lo fai per lavorare con un certo artista, a volte lo fai per la location in cui si gira, a volte per soldi, e a volte lo fai per puro amore del progetto. Quindi, c’è sempre un motivo. Alcuni motivi sono migliori di altri, ma hanno tutti il loro posto.
Sei un Ambasciatore della Boot Campaign, che si mobilita per raccogliere fondi per i soldati feriti e quelli che soffrono di sindrome post-traumatica, hai fondato il programma “Staten Strong” per ricostruire le case distrutte dall’uragano Sandy a Staten Island, e hai lanciato una campagna in collaborazione con la Human Society of the United States per proteggere i cani randagi. Da dove deriva la tua vocazione filantropica? Quali sono gli obiettivi principali che desideri raggiungere?
Io sono un essere umano sulla terra. Tutto quello che facciamo nella vita ruota intorno alla comunità. Tutto quello che facciamo è connessione. Il fatto che io ora stia parlando con te è connessione. Lo stesso vale per le persone che leggeranno queste parole – è connessione. Quando guardiamo la tv, è connessione. Quando guardiamo film come “Emily the Criminal”, è connessione. Stiamo provando a connetterci, e sono convinto che in questa vita il nostro compito sia di aiutarci l’un l’altro. Quella connessione ci insegna che dovremmo esserci gli uni per gli altri senza limitazioni. Se sono nella posizione di dare una mano, è il mio compito aiutare. È questo che devo fare ed è quello che spero di poter continuare a fare sempre.
Per quanto riguarda gli obiettivi che desidero raggiungere, io mi sforzo di non guardare troppo al futuro. Cerco piuttosto di concentrarmi sul momento presente. Non per sembrare esoterico o strambo, ma quello che cerco di fare è rendere felici tutti quelli che mi circondano e far sì che vivano la loro vita al meglio, cosa che a sua volta fa vivere a me la mia vita al meglio. Sono qui per una ragione e, arrivato a questo punto della mia vita, quella ragione è essere una figura presente per chi ha bisogno di me. È quello che sto cercando di fare ed è quello che continuerò a fare. Credo sia il mio compito.
Qual è stato il tuo più grande atto di ribellione?
La maggior parte della mia esistenza è stata un atto di ribellione in un modo o nell’altro. Mi sto ancora ribellando ma non tanto quanto ero abituato a fare. La vita ha il suo modo di calmarti. Come dice Bob Dylan in una delle sue canzoni: “Mama put my guns in the ground”, “mamma, metti giù le mie pistole”. In realtà, qualche volta le tiro ancora fuori, ma non allo stesso modo. Il mio più grande atto di ribellione in questi giorni è stato l’aver smesso di sopportare la gente sciocca. Mi rendo conto che la vita è breve, e sono consapevole che potrei morire da un momento all’altro. Che sia tra 100 anni o domani, in ogni caso accadrà in un attimo. Perché sono così consapevole della mia mortalità e così il tempo è il mio più grande lusso. È la moneta più importante, quindi ho deciso di fare cose che mi piacciono con persone che mi piacciono.
Il mio più grande atto di ribellione è, quindi, rifiutare di arrendermi al nonsense quotidiano che può facilmente impadronirsi di te.
Qual è la tua più grande paura?
Sono fortunato perché non ne ho nessuna. Ho scoperto che, una volta alleviata la paura della morte, hai pochissimi motivi per temere qualunque altra cosa.
Cosa significa per te sentirsi a proprio agio nella propria pelle?
Significa stare bene nel presente. Credo che sia complicato riuscire a sentirsi completamente a proprio agio nella propria pelle. Abbiamo tutti momenti di disagio con noi stessi. E i motivi sono tanti. Potrebbero essere le persone con cui devi stare. Potrebbe essere un senso di disagio fisico o mentale che un giorno ti ritrovi a provare. O potrebbe essere qualcosa che hai mangiato quel giorno. Sentirsi a proprio agio nella propria pelle è praticamente equivalente al concetto di sentirsi sempre felici. Secondo me è impossibile e, anzi, impone un’aspettativa che è irragionevole cercare di raggiungere. Per me, sentirmi felice nella mia pelle significa fare di tutto per capire precisamente chi sono, in modo tale da sentirmi bene con tutte le parti che mi compongono in quanto individuo. Il buono, il cattivo e il brutto che c’è in me.
Qual è la tua isola felice?
Ho la fortuna di esserci già dentro. La mia isola felice è quando passo del tempo con la mia famiglia e lavoro a cose che mi piacciono. Creare, costruire, scoprire. Adoro l’arte della recitazione e ciò che nel processo riesci a rivelare su te stesso. Adoro anche la creazione di un progetto a partire da un’idea. Vederlo concretizzarsi. Ma, innanzitutto, adoro stare con la mia famiglia e con tutti gli animali e la natura che circondano il ranch, a casa.
La mia isola felice è precisamente dove mi trovo in questo momento e fase della mia vita.
Photos by Payton Ruddock.