Un’emergenza: quella ambientale.
Una causa (tra le tante): l’inquinamento causato dall’industria della moda.
Una soluzione: la costituzione di un modello economico etico e sostenibile, per la nostra generazione e per quelle future.
Un nome che sta facendo la differenza nel panorama Italiano e non solo: Rifò.
Rifò è un brand d’abbigliamento Made In Prato che combina responsabilità ambientale, scelte etiche e produzione tradizionale in una linea che promuove un modello circolare di slow fashion, pensato per il Pianeta e per le persone che vi abitano. Il core business dell’azienda è dato dal metodo di rigenerazione dei vecchi indumenti per produrre un nuovo filato capace di raccontare una storia dove tecnologia, natura e società convivono e condividono la stessa filosofia. A parlarci di questo progetto innovativo è stato Niccolò Cipriani, il fondatore dell’azienda, che ci ha illustrato le caratteristiche del processo alla base del brand, le sue “regole” sostenibili e i principi base per un futuro migliore. Perchè rispettare l’ambiente è un dovere quotidiano che dovrebbe coinvolgere ogni aspetto della nostra vita, abbigliamento compreso.
Quando è nata in te la volontà di contribuire al cambiamento del settore della moda in termini di sostenibilità?
È nata in Vietnam, quando per lavoro mi sono occupato di tematiche del cambiamento climatico e della sostenibilità, ma soprattutto di progetti inerenti il settore energetico. Stando in Vietnam ho realizzato che esisteva un problema di sovrapproduzione all’interno del mondo dell’abbigliamento. infatti, ci sono tantissime quantità di invenduto che difficilmente riescono a smaltire. Partendo da questo ho iniziato a informarmi di più e ho capito che la sovrapproduzione era, ed è, un problema grave di cui ancora si parla troppo poco.
Rifò è un brand di capi e accessori realizzati con fibre tessili 100% rigenerate: come si struttura il processo di produzione?
Il processo di produzione si basa sulla conoscenza del distretto tessile di Prato che da anni rigenera fibre tessili; sembrerà strano ma il distretto nasce proprio così: dai cenciaioli e dal cardato (un prodotto molto povero che veniva fatto sfilacciando cenci e stracci). Con Rifò riprendiamo questo processo artigianale e grazie a collaborazioni con il distretto siamo capaci di partire da vecchi indumenti, che vengono selezionati e poi sfilacciati, per arrivare a ricreare una nuova fibra che utilizziamo per realizzare i nostri accessori e indumenti.
È molto interessante anche l’opzione che offrite di riparare o riciclare abiti vecchi in cashmere che le persone possono inviarvi: come è nata l’idea di un simile servizio?
Abbiamo pensato che molte persone hanno spesso nell’armadio indumenti che non indossano più e che non sanno come valorizzare. Allo stesso tempo non hanno un’idea chiara di come poterli smaltire. E così abbiamo pensato di creare questo servizio per tramandare la storia che ha quel capo per loro con massima trasparenza e responsabilità.
“Abbiamo pensato di creare questo servizio per tramandare la storia che ha quel capo per loro con massima trasparenza e responsabilità”.
Chi sono la donna e l’uomo che vestono Rifò?
Sono persone molto attente all’ambiente ma non solo, sportive, che amano viaggiare e quando possono partecipano a progetti sociali. Sono persone curiose anche di provare nuovi filati, di cui spesso non hanno sentito parlare prima.
Piano piano i brand stanno tentando di attuare delle soluzioni sostenibili per diminuire l’impatto ambientale: quale consiglio daresti alle persone per avvicinarsi alle realtà di moda sostenibili?
Di informarsi molto prima di acquistare, di chiedere ai brand e alle aziende informazioni aggiuntive nel caso qualche parte della loro comunicazione sull’argomento non fosse chiara. Informarsi è un loro diritto.
Quali sono invece i vantaggi dell’economia circolare applicata all’abbigliamento?
In termini ambientali si risparmiano notevoli risorse come l’acqua e si limita l’utilizzo di prodotti chimici e coloranti. In alcuni casi c’è anche un vantaggio di prezzo, il costo delle materie prime sta aumentando esponenzialmente, mentre le materie prime riciclate al momento hanno un costo molto stabile e competitivo, soprattutto per quanto riguarda la lana e la lana cashmere.
Parlate anche di moda sostenibile e moda emozionale: in cosa consiste per te l’emozione per ciò che indossiamo?
Per me ogni capo racconta una storia, vicende che ho passato indossandolo. Ad esempio porto ancora degli occhiali che sono leggermente graffiati, i miei amici mi suggeriscono sempre di cambiarli ma non ce la faccio, è più forte di me. Quindi invece di cambiarli e comprarne di nuove, spesso gli faccio solo cambiare le lenti. Per me quegli occhiali rappresentano un ricordo di cui difficilmente riesco a farne a meno.
I tuoi 3 principi cardine per una vita eco-friendly.
Diminuire gli sprechi (soprattutto nel packaging), usare maggiormente le risorse che la natura ci offre, condividere gli eccessi con chi non ha disponibilità.
I tuoi must-have a impatto zero.
Borraccia, cotton fioc naturali, frutta e verdura senza packaging, bicicletta.
Il tuo libro sul comodino.
Al momento “La grammatica della Fantasia” di Rodari.
ll superpotere sostenibile che vorresti avere o che pensi di avere.
Mi piacerebbe trasformare il cibo che avanza in un nuovo cibo invece di doverlo (a volte) buttare via.
Qual è il tuo Rêve per il futuro?
Sogno di poter allargare il nostro sistema di raccolta ad altre fibre tessili, così da poter ampliare il nostro impatto sostenibile su indumenti/accessori più presenti negli armadi delle persone.
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