C’è qualcosa di profondamente magnetico nel modo in cui certi scrittori sanno trasformare il dolore in bellezza, la solitudine in contemplazione e il fuoco distruttore in purificazione. In questa conversazione intima e rivelatrice, Michael Bible, autore di “Goodbye Hotel”, apre le porte del suo mondo creativo, un universo dove il passato non è mai davvero passato, come diceva Faulkner, e dove la memoria diventa il motore silenzioso di ogni storia.
Dalle pagine del suo ultimo romanzo emerge un mosaico di vite che si intrecciano come costellazioni, storie che prendono fuoco e si consumano mentre solo le tartarughe sopravvivono ai millenni, testimoni silenziose dell’umanità che passa. Ma dietro questa narrazione cosmica si nasconde una riflessione profondamente umana: quella di uno scrittore che ha fatto della solitudine non una maledizione, ma una scelta nata dall’amore per se stesso e la propria arte. È in questa solitudine cercata e amata che nascono le sue “piccole macchine di empatia“, così definisce libri, poemi e musica, strumenti capaci di mostrarci che, in fondo, non siamo poi così diversi gli uni dagli altri.
Attraverso le sue parole scopriamo un uomo che non scrive, ma trascrive; che non inventa, ma registra ciò che gli viene sussurrato dal silenzio della contemplazione. Un artista che trova nella filosofia nichilista una paradossale fonte di speranza, che vede nel fuoco non solo distruzione ma purificazione, e che considera l’innocenza non come ingenuità, ma come il coraggio di accogliere la vita a braccia aperte. In un’epoca dove la verità sembra sempre più sfuggente e la felicità viene confusa con la perfezione dei social media, questo scrittore ci ricorda che la gioia vera nasce dall’accettare anche il negativo, che il perdono libera chi lo concede più di chi lo riceve, e che, citando la sua insegnante, “il paradiso sono gli amici”.
“Goodbye Hotel” inizia con una frase, un concetto che trovo straordinario: ci parla del caos e dell’ordine che hanno dato origine a tutto, ci chiede di immaginare il passato, un momento in cui tutte le cose possibili esistono simultaneamente, anche se poi prendono una direzione precisa. Che rapporto hai con il passato? È qualcosa che ti aiuta, che ispira il tuo lavoro?
Sì. C’è una citazione fantastica di Faulkner che dice; “Il passato non è mai morto, non è nemmeno passato”. E penso che ci sia una sensazione, almeno per me, che il passato sia sempre con noi, a molti, molti livelli. A livello storico, venendo dal Sud, certamente il passato è una cosa molto immediata con cui abbiamo a che fare. Ma anche solo nella vita spirituale, la memoria guida molto di quello che faccio e di quello che mi incuriosisce. Quindi, il passato è molto importante, ma sono anche molto interessato al futuro.
Sempre nelle prime pagine, dici che non si è mai soli se si ha la capacità di sognare: la solitudine è qualcosa che senti come tuo o è qualcosa che ti spaventa?
Tutt’altro. Amo stare da solo. Non so davvero se ho talento come scrittore, ma certamente ho una predilezione per passare molto tempo da solo. E tutti gli scrittori lo fanno, si addice alla scrittura. Quindi, ho trovato qualcosa che si adattava al mio amore per la solitudine, e non solo la solitudine, ma la contemplazione e il non fare nulla. Cercare di trovare quel silenzio e quella pace. È davvero una ricerca costante.
Mi è piaciuto molto anche quando hai scritto dell'”invenzione di Dio”, mettendola sullo stesso piano dell’invenzione dell’arte, per esempio. Nei tuoi libri, le figure bibliche e la religione in particolare sono descritte molto spesso in modo non positivo, dove la fede diventa quasi un impedimento nel vedere la verità. E soprattutto, le persone che fanno parte della religione non provano veramente empatia per gli altri. Quanto pensi sia importante l’empatia al giorno d’oggi? Pensi che averne di più potrebbe anche aiutarci ad avere “un mondo migliore”?
Penso che non sia solo importante, ma che sia essenziale. Penso che dobbiamo essere in grado di vedere quando le altre persone stanno soffrendo, anche se quelle persone stanno facendo cose orribili. Perché quelle cose orribili vengono da qualche parte. E se riusciamo a vedere questo, penso che possiamo capirci un po’ meglio. Spero che l’arte, la musica, il cinema, la poesia siano il ponte.
Per me, i libri, i romanzi, le poesie, la musica, sono piccole macchine di empatia – ci mostrano che non siamo poi così diversi quando arriviamo al dunque.
“Goodbye Hotel” sembra una costellazione di storie: tutto prende fuoco, viene distrutto, e solo le tartarughe sopravvivono ai millenni, osservando l’umanità con il loro sguardo. Da dove arriva questa storia fatta di mille storie?
È difficile saperlo. Ma penso che, per tornare al concetto di una vita contemplativa, se sei aperto e paziente, molta meraviglia può entrare nella tua vita. E se riesci a vedere quella meraviglia, la scrittura diventa qualcosa che è davvero solo trascrizione. Molti artisti ne parlano, ed è una cosa molto difficile da descrivere, ma non sento di scrivere attivamente, sento di registrare solo quello che mi viene detto. È un concetto difficile da fare proprio, e richiede una ricerca costante, ma è così che funziona per me.
La verità è un altro aspetto importante del libro, specialmente la mancanza di verità. Secondo te, è importante conoscere sempre la verità, specialmente come scrittori o lettori? O essere “ingannati” fa in qualche modo parte del gioco?
Penso che tutta la scrittura sia un atto di inganno in qualche modo, o una bugia che dice una verità più profonda. La verità è difficile da raggiungere, e ci sono molti tipi di verità, e molte verità diverse, e ognuno ha la propria versione. In narrativa, proprio quando pensi di sapere cosa sta succedendo, è allora che forse il terreno si sta spostando sotto i tuoi piedi. Per me, questo è come la vita. Invecchiando, sto capendo che le cose non sono come sembrano.
Quando parli dei ricordi di Little Lazarus, suggerisci che i ricordi che questi esseri meravigliosi hanno sono più profondi e più primordiali di quelli che abbiamo noi umani. Se potessi sperimentare un ricordo in quel modo, lo faresti? O ti sei mai sentito così profondamente connesso a un ricordo?
Sì, sono in qualche modo perseguitato da certe cose, e non intendo necessariamente in senso negativo. Sai, la gente dice che quando ricordi qualcosa, in realtà non ricordi l’evento, ricordi l’ultima volta che l’hai ricordato. E quindi, è come un “telefono senza fili”, cambia un po’ ogni volta. Quindi, tornare indietro e cercare di recuperarlo è un atto di creazione, di mito, di narrazione.
Il fuoco è anche il protagonista del tuo romanzo “L’ultima cosa bella sulla faccia della terra”, ma qui si espande ulteriormente: non è solo il fuoco che alla fine avvolge tutti, brucia tutto e pulisce tutto, ma è anche nella testa dei personaggi, come François che dice che sembrava che tutto nella sua testa stesse andando a fuoco. Possiamo dire che il fuoco in “Goodbye Hotel” è lo stesso che pervade il tuo romanzo precedente?
Lo stesso fuoco, intendi? Interessante. Suppongo che in qualche modo mitico, tutto il fuoco sia lo stesso fuoco, in fondo. È una specie di passione, il fuoco per me ha degli aspetti affascinanti.
A me fa paura.
Sì, fa paura, ma è allo stesso tempo distruttivo e purificante. Sono sempre stato affascinato dal fuoco: sono cresciuto creando fuochi, lo trovo un meraviglioso atto di contemplazione. Inoltre, conosco molte persone che lavorano nella forestale, e puliscono con il fuoco, lo sapevi? Il sottobosco viene bruciato via così che nuove cose possano crescere e così che non ci sia così tanto combustibile per gli incendi boschivi. Penso che sia una metafora per “la cosa di cui hai paura non è sempre negativa”. E non deve sempre impedirti di fare le cose.
Uno dei temi ricorrenti è anche quello del “desiderare l’impossibile”. Cosa ti sembra impossibile oggi?
Molte cose. Stiamo vivendo tempi davvero bui, tempi preoccupanti, ma penso che la vera speranza possa venire solo in quei tempi disperati. Cercare davvero qualcosa che non è ancora successo, o che non riusciamo nemmeno a comprendere che succeda, ed essere aperti a quella possibilità è il modo in cui possiamo farcela. Speranza senza ottimismo. L’ottimismo, penso, richiede una conclusione, una certezza che qualcosa di buono accadrà. Ma la speranza dice: “Sono aperto a qualsiasi cosa sia, e se è negativa, ce la farò. Se è positiva, imparerò”. Per me, la speranza è una cosa molto complessa, ma è essenziale, è importante.
C’è una vecchia frase anarchica che dice: “Rivendica l’impossibile“. E penso che se non siamo disposti almeno a immaginare un mondo diverso dal nostro, rimarremo bloccati nel mondo che abbiamo.
Il personaggio di Walt dice che stava guarendo dalle sue dipendenze e malattie grazie alla sua ricerca della bellezza dell’arte. Pensi davvero che l’arte, così come la letteratura, possa salvare o guarire?
Oh cavolo, assolutamente. Così tante cose mi hanno trascinato fuori da posti bui, la letteratura certamente l’ha fatto, la musica certamente l’ha fatto, scrivere e suonare musica certamente l’hanno fatto. La pittura, in cui sono terribile, ma che mi diverte all’infinito, mi ha aiutato ad uscirne. E anche di recente, la filosofia. Non sono mai stato attratto dalla filosofia o dai filosofi, non sono una persona di grande intelligenza, ho sempre visto la filosofia come molto complessa e difficile, ma di recente ho scoperto filosofi nichilisti che mi danno grande speranza e sono molto liberatori.
Penso che devi essere aperto, e devi essere sempre pronto per quella nuova cosa possibile. E la letteratura è piena di questo, l’arte è piena di questo, la musica è piena di questo.

Tutti i personaggi restano sulla pagina pochissimo, ma sono tutti pezzi essenziali di un puzzle. C’è un personaggio a cui avresti voluto lasciare più spazio?
Sono stati personaggi divertenti da scrivere, ma forse ti direi Walt, per passare un po’ più di tempo con lui e vedere cosa stava combinando. Quel personaggio di una specie di ragazzo di confraternita diventato artista è interessante.
A un certo punto, Lazarus si trova a invidiare la vita breve delle mosche, dicendo che ogni secondo sarebbe più dolce e più semplice: niente più progetti, niente più preoccupazioni. La morte è ovviamente un argomento che viene spesso affrontato, insieme al concetto di tempo. Il passare del tempo ti spaventa?
C’è una frase giapponese, “Mono No Aware”, che significa la bellezza dell’impermanenza. Devi essere aperto a quelle cose, a cercarle, al momento presente, con la pioggia che cade, che è una cosa magica, bella e pericolosa… Penso che la cosa importante per me invecchiando sia davvero assaporare e gustare la vita e cercare cose che, mentre potrebbero sembrare in superficie difficili, sono in realtà profondamente assurde, divertenti e sciocche. E penso che se riesci ad arrivare in quel posto, la vita diventa una specie di fiume, una canzone.
Lazarus è lento ma in movimento costante e sembra essere l’unico a rimanere mentre le persone vanno e vengono, le tartarughe sono le uniche a vedere tutto. Forse la nostra esistenza come esseri umani non lascia il segno?
Penso che lasciamo un segno. Conosco così tante persone che sono state nella mia vita che ho perso e la loro perdita crea un vuoto. E in quel vuoto, le persone che le conoscevano si avvicinano di più. Mi è successo ancora e ancora e ancora. Ma, sai, non ho paura dell’idea di non esistere. Penso che quella sia la cosa più umana che ci sia, il fatto che tutti scadremo. Questo dovrebbe farci venire voglia di avvicinarci di più mentre siamo qui e non rimandare questa specie di genuinità e questa gioia a un altro momento.
Sugar dice che la vita è già tutta decisa, il libero arbitrio non esiste, non c’è possibilità di scegliere. Al contrario, Lazarus dice che basta essere aperti all’idea di qualcosa perché accada, che la forza di volontà ti fa avere tutto. Con chi sei d’accordo?
Mi appello al quinto emendamento e dico: lascio scegliere al lettore. Ad essere onesto, sono davvero profondamente agnostico, e non intendo in senso religioso. Intendo in ogni senso di quella parola. Dipende dall’ora del giorno, penso, ma è qualcosa a cui penso molto.
Sono stato molto commosso dalla parte in cui Eleanor dice che ci sono voluti decenni per capire che non avrebbe dovuto incolpare suo padre ma avrebbe dovuto incolpare il mondo per come era fatto, per quello che il mondo aveva fatto accadere a lui per farlo diventare quello che era. Mi ha commosso molto perché penso che sia così liberatorio quando riesci a separare il tuo genitore da chi dovrebbe essere, pensare a loro come a una persona a cui sono successe cose, anche cose orribili. Forse è l’unico modo per perdonare?
Soprattutto in America, dove ci sono molti di questi episodi violenti, le persone sono molto veloci a separarsi, a dimenticarsene. Diciamo che sono malvagi o cattive persone o narcisisti, o hanno problemi mentali o qualsiasi cosa. Non pensiamo davvero al mondo in cui sono cresciuti. Penso che avere empatia per le situazioni in cui si trovano le persone possa fornire una specie di perdono. Ma penso anche che puoi fornire una specie di empatia e questa può portare a un perdono. Ma il perdono non riguarda la persona che lo riceve, riguarda la persona che lo dà, e non richiede nient’altro che il gesto stesso. Penso che sia davvero importante perdonarci a vicenda, perdonare noi stessi. Non c’è un manuale e siamo stati messi qui senza chiederlo. Quindi, penso che un po’ di pazienza e un po’ di empatia siano sempre necessarie.
C’è una citazione che mi è piaciuta molto del tuo libro, che dice: “La cosa difficile dell’essere giovani è capire cos’è che non sai.” Cosa pensi di non sapere ancora adesso?
Così tanto. C’è così tanto che voglio imparare. Voglio imparare l’italiano. Voglio imparare tutti i tipi di cose, sai, sono affascinato dal mondo costantemente. Cerco l’innocenza, cerco l’ignoranza, cerco le possibilità che qualcosa di nuovo accada. Per me, l’intelligenza non è tutto quello che si dice, penso che l’intelligenza sia qualcosa di comparativo. Beh, certamente sta affermando che sta sapendo qualcosa, ma per sapere qualcosa, devi avere due cose da confrontare. Mentre l’innocenza arriva alla vita a braccia aperte e dice: “Prenderò qualsiasi cosa tu mi dia.” Non è sempre facile, ma cerco il più possibile di rimanere in quello stato di innocenza o di ritornarci. C’è molto che non so.
Un altro bellissimo passaggio del libro è dove dici che la felicità si trasforma in tragedia e la tragedia si trasforma in realtà e poi la realtà si trasforma di nuovo in felicità. Pensi che sia solo una questione di tempo quando si tratta di guarire da una tragedia? A volte penso che potrebbe non essere possibile essere felici di nuovo dopo una tragedia personale. Ma questa frase che hai scritto suona molto vera.
Dipende, perché dovremmo davvero approfondire e pensare a cosa significa la parola felicità. Penso che ci sia una specie di gioia complessa più profonda che sottostà al divertimento e alla specie di felicità. E penso che molto di quello che pensiamo come felicità sia “tutto va per il verso giusto, tutto è liscio e perfetto, e non c’è niente di difficile o negativo in quello che sta succedendo nella mia vita”, ma quella non è veramente gioia.
Quella è una specie di felicità superficiale. Per me, la gioia è una specie di soddisfazione profonda che accoglie la negatività o i problemi e gli ostacoli, non come cose che fanno male, ma che sono appaganti. Sai, penso a questo in termini di scrittura molto. Insegno agli studenti, e uso sempre la metafora di: “Non vuoi prendere un elicottero per arrivare in cima al Monte Everest”. Vuoi scalare la montagna.
Lo scopo è scalare la montagna.
Quindi, particolarmente con i giovani, penso che ci sia una specie di desiderio per una specie di felicità liscia che vedono online, dove tutto è perfetto e meraviglioso, e tutte queste persone sono in vacanza, e sembrano tutte così felici, ma sappiamo tutti che è falso. Quindi, la vera felicità profonda nelle relazioni, con gli amici, con la famiglia, viene con molta sofferenza e dolore, e questo è quello che la rende tutta più dolce e migliore.
La paura, specialmente nelle frasi finali del libro, è certamente protagonista anch’essa, ma qual è la cosa che temi di più?
Temo di non essere aperto come dovrei essere. Ho paura anche di volare, ma, ci provo. Provo e mi spingo, e non ci arrivo sempre, ma la paura può essere un grande aiuto a volte, e un grande motore, ma è tutto nelle nostre menti. È solo qualcosa che stiamo creando, ed è una storia che ci raccontiamo, e possiamo altrettanto facilmente raccontare un’altra storia.
E ora, ultima domanda. Qual è il tuo posto felice?
Ho un’amica meravigliosa, è una fotografa straordinaria del Mississippi, si chiama Jane Robertine. Vive lì dagli anni ’80, e la chiamano la Gertrude Stein del Sud. È questa padrona di casa meravigliosa per artisti, musicisti e scrittori, e ha questa veranda sul retro incredibile con una zanzariera che si affaccia sui campi, e in una notte come quella di oggi, piovosa e tempestosa, puoi guardare la tempesta arrivare dal delta e passare attraverso la regione collinare. Di solito, ci sediamo lì, beviamo Budweiser, fumiamo canne e ascoltiamo musica vecchia senza parlare.
Sembra il paradiso.
È fantastico. Hai un cane ai tuoi piedi, non troppo di cui preoccuparsi, e dei buoni amici intorno a te. Il mio insegnante diceva sempre: “Il paradiso sono gli amici”. Ci credo davvero, non penso che l’inferno siano gli altri. Penso che il paradiso siano gli altri, quindi quello è il mio posto felice.
Thanks to Adelphi Edizioni.
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