Ci sono libri che ci informano, libri che ci intrattengono, e poi ci sono libri che ci salvano. “Brave ragazze: una storia di anoressia” appartiene a questa rara terza categoria, un’opera nata dallo spazio vero e sincero dell’esperienza vissuta.
In un mondo dove le ragazze adolescenti stanno silenziosamente scomparendo in loro stesse, dove il perfezionismo si maschera da virtù e l’auto-negazione diventa una forma distorta di controllo, l’autrice Hadley Freeman vuole rompere il silenzio. Durante l’isolamento dovuto al COVID, quando madri preoccupate l’hanno contattata riguardo ai corpi che si rimpicciolivano e ai comportamenti ossessivi delle loro figlie, ha realizzato che la battaglia che pensava fosse vinta si stava ancora combattendo nelle camere da letto e nelle scuole di tutto il mondo.
Questo non è un altro memoir sulla guarigione. Questa è una mappa disegnata da qualcuno che ha camminato attraverso l’oscurità della malattia ed è emerso con qualcosa di prezioso: la speranza. È una conversazione che intreccia il personale e l’universale, l’aspetto medico e quello profondamente umano, creando una panoramica di comprensione che parla a chiunque abbia mai sentito il peso delle aspettative impossibili.
Questo è un invito a parlare di coraggio nella sua forma più vulnerabile, quella che riguarda il dire la verità, il mettere in discussione le storie che ci raccontiamo, e di credere che la vita possa essere più che solo sopportata per essere veramente e felicemente vissuta.
Quello che ho davvero apprezzato di “Brave Ragazze: Una Storia di Anoressia” è il modo in cui mescoli la tua vera storia con studi medici, dati, interviste e testimonianze. Quando hai capito che era finalmente arrivato il momento di scrivere questo libro e com’è stato il percorso di scrittura?
Grazie mille, sei molto gentile. Ho deciso di scrivere il libro durante il lockdown del Covid quando alcune amiche mi hanno mandato dei messaggi per dirmi che erano preoccupate perché le loro figlie adolescenti stavano riducendo il cibo, o facevano esercizio fisico ossessivamente. Avevo un po’ ingenuamente pensato che l’anoressia fosse passata in secondo piano, che le ragazze avessero trovato nuovi modi per esprimere l’ansia. Ma poi ho realizzato quanto mi sbagliassi e ho pensato, OK, forse ho qualcosa di utile da dire al riguardo.
Il delicato argomento dell’anoressia diventa anche un modo per parlare di emozioni forti, come rabbia e solitudine. Come trovi un equilibrio quando provi tali emozioni?
Ci è voluto molto tempo ma ho imparato ad essere molto attenta alle storie che mi racconto quando mi sento così. Quando arrivano emozioni travolgenti, invece di dirmi che sono unicamente incapace di affrontarle, e che questa sensazione durerà per sempre, cerco di ricordare che tutti gli esseri umani provano ansia, o solitudine, o rabbia, e che le emozioni vanno e vengono, perché siamo tutti costantemente in cambiamento. Tutto è sempre in movimento.
C’è stato un momento, una “scoperta” legata all’anoressia durante la tua ricerca e scrittura del libro che ti ha aperto ulteriormente gli occhi su quella condizione? Per me, per esempio, i possibili collegamenti con l’autismo sono stati molto interessanti.
Sì, penso che sia interessante, anche se sono cauta al riguardo. È molto difficile testare l’autismo quando un paziente è in uno stato di denutrizione, quindi è difficile sapere quanti anoressici hanno l’autismo. Ma sono molto aperta all’idea che molte ragazze con autismo esprimano controllo e ansia attraverso l’anoressia, ma questo è diverso dal dire che la maggioranza degli anoressici abbia l’autismo. Penso che, per la maggioranza di chi ne soffre, l’anoressia sia un modo di esprimere e cercare di gestire sentimenti di ansia, spesso riguardo al crescere e diventare donna e tutta la sessualizzazione e separazione dai propri genitori che questo comporta.
Le brave ragazze non fanno così, le brave ragazze non dicono così… Forse perché le cosiddette “brave ragazze” sono meno libere di essere chi vogliono, di lasciarsi andare? È un approccio culturale (e sbagliato), ma è ancora molto rilevante nella nostra società.
Sì penso che quel desiderio di essere buone e perfette e amorevoli sia ancora molto forte nelle ragazze oggi.
Credo che essere giovani oggi, essere costantemente esposti ai social media, agli influencer e a tutti quei mondi, renda ancora più difficile crescere senza sentire la pressione sociale. Qual è la tua opinione al riguardo? Considerando anche la tua esperienza come giornalista di moda e come mamma.
Credo fermamente che i bambini non dovrebbero essere sui social media fino a quando non hanno almeno 16 anni, perché è un mondo tossico e totalmente artificiale che incoraggia l’insoddisfazione verso se stessi. Penso che negli anni a venire sembrerà mostruoso che ai bambini piccoli sia mai stato permesso di essere sui social media.

“Cerco di ricordare che tutti gli esseri umani provano ansia, o solitudine, o rabbia, e che le emozioni vanno e vengono, perché stiamo tutti costantemente in cambiamento”.
Una delle parti più emozionanti per me è stata quando, quasi alla fine del libro, scrivi di come le donne dovrebbero smettere di fare o non fare certi cose solo per cercare validazione e approvazione dagli altri e come smettere di odiare se stesse per insegnare alle nuove generazioni che amarsi è più importante di qualsiasi altra cosa. Ti senti speranzosa, nonostante tutto?
Per me stessa, sì, e spero anche per i miei figli. Ma penso ancora che il mondo sia pieno di molte persone insicure che fanno sentire insicure altre persone, e molte persone scambiano l’ansia per indegnità.
Cosa diresti alla te stessa già giovane, quella che sta per entrare nel primo ospedale per il suo primo ricovero? O piuttosto, pensi che ti avrebbe ascoltata?
Penso che quando sono andata in ospedale non avrei ascoltato nessuno. Ma vorrei aver potuto impedire a me stessa di passare dall’anoressia alle droghe nei miei vent’anni, perché quello è stato davvero un terribile spreco di tempo e non solo.
Scrivi che la vita può essere migliore e soprattutto, la vita può essere goduta e non solo tollerata. Come ti godi la vita al meglio?
Ho tre figli meravigliosi, amici che adoro e un lavoro che ancora non riesco a credere che qualcuno mi abbia offerto. Cosa c’è di più di questo?
Qual è l’ultima cosa che hai scoperto di te stessa anche grazie al tuo lavoro?
Penso che la cosa più importante che ho scoperto è che posso sopportare di essere odiata. Prima ero terrorizzata dall’arrabbiare o turbare chiunque. Ora scrivo articoli con cui alcune persone sono d’accordo e altre non lo sono per niente. E sai cosa c’è? Va bene così.
Cosa significa per te sentirti a tuo agio nella tua pelle?
Sentirsi felice di stare sdraiata nel parco tutto il giorno a leggere, non preoccuparsi se i tuoi vestiti sono troppo stretti, o se altre persone si stanno divertendo di più da qualche altra parte.
Che libro/i ci sono sul tuo comodino in questo momento?
“La Donna in Bianco” di Wilkie Collins, “Le Fantastiche Avventure di Kavalier e Clay” di Michael Chabon.
Qual è il tuo posto felice?
A casa con i miei figli, in vacanza con i miei amici.
Cover photo by Linda Nylind.
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