Attrice giovanissima ma già capace di muoversi tra delicatezza e intensità, Caterina Ferioli parla con la stessa sincerità con cui affronta i suoi ruoli. Dai primi ricordi legati ad Audrey Hepburn e all’incontro rivelatore con Gaspar Noé, fino al suo percorso tra moda, set e nuove consapevolezze, Caterina racconta senza filtri il suo rapporto con il cinema, con sé stessa e con quella “bolla” creativa che la fa sentire viva. Un dialogo che intreccia passioni, fragilità e piccoli rituali quotidiani, restituendo il ritratto di un’artista in crescita, che non ha paura di cadere — letteralmente e metaforicamente — per poi rialzarsi più forte di prima.
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
“Colazione da Tiffany”. Penso di averlo guardato tutti i giorni, in DVD, per due settimane.
Quando avevo 10 anni, a Carnevale, mi vestii da Audrey Hepburn [ride]. Quindi l’interesse per il cinema è nato prestissimo. Per caso, più tardi, ho scoperto Gaspar Noè


E sei cresciuta tutta in una volta!
Qual è stato il momento in cui hai capito che la recitazione non sarebbe stata soltanto una passione, ma una vera e propria vocazione professionale?
In realtà, prima di iniziare a lavorare nel mondo del cinema, non avevo una vera e propria passione. Studiavo moda, per me dovevo fare quello nella vita. Poi, quando avevo circa 18 anni, c’era un amico di amici che era un attore, e che a me piaceva molto, e quindi allora iniziai ad interessarmi al mondo della recitazione anche dal punto di vista professionale. Proprio allora, mi capitò l’opportunità di fare un provino, tra l’altro per il mio regista preferito in assoluto.


E come andò?
Malissimo! [ride] D’altra parte, era il primo provino che feci senza aver mai studiato recitazione. Da lì, ho deciso di iniziare a studiare.
Poi, in realtà una settimana dopo ho avuto un ruolo nel mio primo film!
Allora era nell’aria.
Sì, era nell’aria.



E in seguito, c’è stato un ruolo, un personaggio che ha rappresentato per te una svolta artistica o personale?
Sai, sono all’inizio, non ho tanta esperienza, e non so ancora dire cosa arriverà che mi cambierà la vita. Però per adesso, sicuramente, il personaggio di Antonia in “Belcanto” per me è stato molto bello e sicuramente importante per me, perché è il mio primo ruolo da “grande”.

Di solito, quando reciti, tendi ad affidarti di più al tuo istinto o ci pensi tanto, sei più razionale? In che modo riesci a bilanciare l’istinto e il metodo nel tuo lavoro?
Questa è una bella domanda, perché sai cosa si dice? Che più studi e più togli la pancia, l’istinto. In realtà io sto studiando tantissimo e la verità è che noi studiamo per non perdere l’istinto, perché quando vai di pancia vinci tutto. La tecnica serve ovviamente per non entrare in crisi con te stesso.

“…noi studiamo per non perdere l’istinto, perché quando vai di pancia vinci tutto”

Quindi è un equilibrio che si impara.
Sì e secondo me la cosa più difficile è proprio non perdere l’istinto. Infatti, i bambini-attori sono i più bravi di tutti, perché loro non ci pensano.


Già! Spesso si parla del lavoro invisibile che c’è dietro una performance. Cosa c’è nel tuo processo creativo off camera, dietro le quinte, che il pubblico non vede?
Dipende dalla giornata. Quando sono nel pieno di un momento tanto creativo, studio tantissimo prima di iniziare a lavorare.
La preparazione del personaggio è fondamentale per me, e avviene in un momento in cui sento come se avessi tantissima energia da buttare fuori, ma non posso ancora farlo perché non sto ancora lavorando. Quindi riempio quaderni di appunti, e in quel momento mi sento proprio allineata con me stessa, con quello che voglio fare, con il mio universo. Sei nel tuo, in quel momento, sei nella tua bolla.


Hai mai visto il film della Pixar, “Soul”? Spiega benissimo quello che dici, che gli artisti in quei momenti lì, quando stanno facendo quello per cui sono nati e magari non lo sanno neanche, sono nella loro bolla.
Sì! Poi, invece, mi stressa tantissimo il contrario, quando magari ho un giorno in cui non ne voglio sapere niente. Però è normale, è giusto, e in quei momenti non puoi sovraccaricarti di energia, di pensieri, di lavoro. Perché poi arriva un giorno in cui non vuoi più sentire niente.

E ti senti solitamente più a tuo agio in ruoli che ti somigliano, in personaggi che sono vicini a te, oppure in quei ruoli che ti obbligano ad uscire un po’ dalla tua “comfort zone”?
Non diciamo bugie, è facile fare sé stessi. Quindi, è un po’ frustrante quando capisci che sei stato preso perché sei tu e non per il lavoro che potresti fare sul personaggio. Per me, comunque, è molto più facile fare cose radicalmente lontane da me, perché non puoi sbagliare, no? Non puoi giudicarti e sentirti giudicata più di tanto. E poi, spesso, è tutto talmente esagerato e divertentissimo. Pensando ad Antonia, per esempio, per me è molto più facile entrare in storie drammatiche, piuttosto che avere una conversazione banale, per esempio.

“Non diciamo bugie, è facile fare sé stessi.”

Capisco, è sicuramente più soddisfacente, perché hai modo di esplorare magari anche i lati di te che non sapevi di avere, che emergono in quei momenti.
Quindi, cosa cerchi tu in un progetto e qual è per te il segreto perché una performance attoriale sia un successo?
Sicuramente, in questo momento, ho bisogno di fare qualcosa che mi piaccia tantissimo. Ho bisogno di sentire la voglia di farlo, soddisfare la fame che ho. Ho bisogno di sentire che è un progetto che può fare qualcosa nel mondo, che mi può aiutare, che può dire qualcosa e, di conseguenza, quando vedi che c’è tanta voglia da parte di tutto il team, viene sempre fuori un lavoro pazzesco.



E qual è il segreto per il successo?
La soddisfazione personale è il successo, per me. Quando mi rivedo e riconosco che ero presente nel momento, ero consapevole. Avendo studiato tanto, quello per me è il successo: quando sono soddisfatta del mio lavoro e sento che tutta la squadra ha fatto qualcosa di bello, utile, impegnato.


“La soddisfazione personale è il successo, per me.”

C’è un progetto che magari hai già realizzato oppure che ancora hai anche solo immaginato, che vorresti raccontare, una storia che senti particolarmente tua?
Mi piacerebbe molto fare qualcosa di mio. Ad oggi non ho mai scritto nulla di cinematografico, però mi piacerebbe molto. Ad esempio, vorrei scrivere qualcosa sui miei nonni, mi piacerebbe tantissimo, anche se l’idea mi mette un po’ a disagio, il pensiero di espormi così tanto.
Ti spaventa l’idea di cimentarti in qualcosa che non hai mai fatto?
Più che altro, mi spaventa mettere in mano al pubblico le mie cose personali e non cose inventate. Comunque ci penserò, perché io ho sempre scritto tanto, mi piacerebbe realizzare qualcosa di mio.


Invece, da spettatrice, che tipo di storie ti coinvolgono maggiormente e in che modo quello che guardi influenza le tue scelte come attrice?
Guardo tantissimi film, e ho un po’ il gusto dell’orrido. Se dovessi descrivere quello che mi piace, sarebbe tutto riconducibile a Gaspar Noè. Sai, ho voglia e ho bisogno di film impegnati in questo momento, di vedere cose impegnate che fanno sentire che il cinema parla, anche in Italia, che possiamo dire qualcosa, e mi piacerebbe anche molto lavorare in film del genere.
Vorrei proprio dire qualcosa.
Qual è l’ultima cosa che hai visto che ti ha colpita particolarmente?
Ho visto “Bird” al cinema. Mi è piaciuto tantissimo. Ho pianto come una bambina. Quel film mi è sembrato una favola, che poteva tranquillamente essere della Disney, però adattata e “fatta per i grandi”: mi ha fatto sognare, tornare una bambina al cinema che guardava un cartone.

“Vorrei proprio dire qualcosa.”
Che consiglio daresti a una te più giovane che ancora deve approcciarsi a questo mondo? Fallo senza pensarci.
Vai e non ascoltare il giudizio degli altri. Io sono stata molto giudicata, però per fortuna adesso riesco a farmi scivolare tutto addosso, sebbene sia stato difficilissimo all’inizio.
È difficile andare avanti dritto imparando a non badare al giudizio degli altri in qualsiasi ambito della vita, però ovviamente voi attori siete molto più esposti e di conseguenza suscettibili a queste situazioni parecchio debilitanti.
Sì, lo penso anche io.

Qual è il tuo must-have sul set?
Se i miei amici di produzione leggeranno questa risposta, rideranno molto. È la borraccia.
Che però perdo dieci volte all’ora [ride]. Ogni volta, i santi che lavorano con me la devono cercare ovunque quando io non mi posso muovere tanto sul set. Sono capace di lasciarla ovunque, la borraccia, in mezzo ai campi, nei bagni… E quindi c’è sempre questa caccia alla borraccia, molto divertente. Mi dispiace, ma è più forte di me lasciarla ovunque e dimenticarla.
La borraccia è la tua firma, si sa che ci sei tu sul set quando qualcuno si ritrova una borraccia nei luoghi più improbabili! [ride] Un epic fail sul set che ti va di raccontare?
Cado spesso! [ride].
Una volta c’era una scena in cui dovevo correre, scappare in un corridoio con un vestito lungo addosso. La camera mi inquadrava a mezzo busto, in quella scena, e a un certo punto cado e da dietro, dalla regia, sento che dicono, “Perché non è più inquadrata?”. Ero uscita dall’inquadratura e stesa per terra a foglio a quattro. Con un bel vestito [ride].


Questa è bella. Ora, riprendendo un po’ alcuni discorsi fatti prima, io immagino che voi attori, di volta in volta, di progetto in progetto, vi confrontiate con una nuova vita, con una nuova persona. Recitando ci si mette di volta in volta in panni nuovi, diversi, magari lontani o vicini a sé stessi, e mettendosi alla prova si scoprono delle nuove parti di sé che non si immaginava di avere, proprio a partire da questo confronto. Qual è l’ultima cosa che hai scoperto su te stessa attraverso il tuo lavoro?
Mi è capitato, durante un progetto un po’ “pesante” per me, di dirmi, “Ti voglio bene”.
Ho scoperto che forse mi voglio molto più bene di quello che pensavo. L’unica cosa che riuscivo a pensare in determinate scene, oppure pensando al personaggio, era proprio “Non ti trattare così, ti voglio bene”. È stato molto bello.
Bellissimo, e non è facile riuscire a dirsi queste cose, soprattutto quando ci si sente molto giudicati, criticati. C’è un rituale o una routine che ti aiuta a stare con i piedi per terra, che ti aiuta a riconnetterti con te stessa o a ricentrarti quando ti senti persa? Perché immagino che recitare possa portare anche a questo, a perdersi un po’.
Sì, è importante staccare. Io purtroppo vedo “bianco-nero”, faccio abbuffate di energia, sto sveglia perché ho voglia di vivere, ma poi mi spengo e non riesco neanche ad aprire un libro, non riesco a guardare un film, ho bisogno di non fare niente. Il mio rituale, quindi, è staccare un po’ prima di arrivare al limite, magari andare a fare una passeggiata. Sai, io dipingo, leggo molto, e quando sento che ho bisogno di dipingere 40 quadri, allora capisco che devo staccare, prima che sia troppo tardi e cominci “l’abbuffata”, come dice mia madre.


Leggi tanto, dicevi. Sono curiosa, cosa stai leggendo in questo momento?
In questo momento, sto leggendo duecento cose che non riesco a finire, a proposito di ciò che dicevamo prima. Sto leggendo “Sylvia” di Leonard Michaels, e vorrei leggere “Il grande Bob” di Simenon.

Finora, qual è stato il tuo più grande atto di coraggio?
Quando avevo 19 anni e ho mollato tutto.
Sai, io ho vissuto una vita un po’ strana: quando avevo 15 anni ho iniziato a lavorare a Milano, ma vivevo a Bologna; quindi, facevo praticamente tutti i giorni avanti e indietro, Bologna-Milano. Poi, io con Bologna ho sempre avuto un rapporto particolare, non mi sono mai trovata tanto bene; poi, quando ho iniziato l’università a Milano, mi sentivo già a casa, avevo le mie amicizie, ne ho strette di nuove con l’università; quindi, avevo il mio giro di persone, la mia casetta, le mie cose, la palestra sotto casa, il supermercato. È stato facile, allora, dopo il primo film, prendere e mollare tutto. Poi, mi sono trasferita a Roma, che è stato difficilissimo, ho sofferto molto, perché lì a Roma non conoscevo nessuno, non frequentavo accademie, ero lì per lavorare, quindi non sono riuscita a costruirmi un gruppo di amici come avevo fatto nelle altre città. Ci ho messo tanto tempo per ritrovare il mio posto.
Invece, qual è la tua più grande paura?
Deludere tutti.


Cosa ti fa sentire al sicuro? E cosa ti fa sentire sicura di te?
I piedi per terra, le mie abitudini, chiamare le persone, sentirle vicine. Per me è fondamentale.
Io sono molto solitaria, per cui ciò che mi fa sentire più al sicuro di tutto è stare nella mia casetta, pulirla: mi fa sentire di appartenere a qualcosa. Così come sentire tutte le persone che conosco. Questa è proprio la mia bolla.
A farmi sentire sicura di me, invece, è il mio indice di soddisfazione. Mi sento sicura quando sono soddisfatta di quello che ho fatto, In generale nella vita, nei rapporti, nel lavoro, io ho bisogno di dirmi, “Brava”. Quando mi dico, “Brava”, mi sento sicura, fiera, e non mi interessa come vanno le cose, perché ho fatto il mio.


“Mi sento sicura quando sono soddisfatta di quello che ho fatto, In generale nella vita, nei rapporti, nel lavoro, io ho bisogno di dirmi, ‘Brava’.”


L’ultima persona o l’ultima cosa o evento che ti hanno fatto sorridere?
Sono andata in vacanza dopo due anni che non ci andavo. Sorriso a 100 denti tutti i giorni.
Qual è il panorama che vorresti vedere fuori dalla finestra?
In questo momento un’isola, una qualsiasi. Non ho più voglia di città. Sono sempre stata una da città, ma ultimamente non ce la faccio più. Vorrei vedere persone scalze fuori dalla finestra, che ballano, e basta.
Sei un animale notturno o una persona mattiniera? Qual è il tuo momento preferito della giornata?
Amo la notte. Il mio momento preferito è prima di andare a letto, prima di lavarmi i denti. Mi metto sul divano, ascolto musica con le cuffie, e faccio quello che ho voglia di fare: leggere, dipingere, chiamare qualcuno.

Cosa significa per te sentirsi a proprio agio nella propria pelle?
Ci ho messo 10 anni per arrivarci. Ho avuto tantissimi problemi col mio corpo, il che rende “ironico” che abbia fatto la modella. Sicuramente, cominci a stare bene nella tua pelle quando sei tu, quando smetti di travestirti e crearti un personaggio, di essere altro da te che non ti appartiene. Allora, quando sei allineata con te stessa e sei dove devi essere, l’apparenza non ti importa più tanto. Quando io sono arrivata a questo punto, per me è stato un grande passo. Ho lasciato fuori tutto quello che non c’entrava niente con me, anche grazie alla mia psicologa a cui devo molto.
Qual è la tua isola felice?
Il mio spazio, la mia casa, il mio letto, il mio pavimento, il mio nido. Ovunque vado, io ho bisogno di fare il nido. Le mie cose sono la mia isola felice.

Photos & Video by Johnny Carrano.
Makeup and Hair by Sofia Caspani.
Styling by Ilaria Di Gasparro.
Thanks to Carryover.
Thanks to Stars On Field.
Look 1
Skirt: Etro
Bra: Fleur Du Mal
Shoes: Prada via AP archive
Bracelet: stylist’s archive
Earring: Voodoo jewels
Look 2
Skirt: stylist’s archive
Body: Fleur Du Mal
Shoes: Stella McCartney via AP archive
Bracelet: stylist’s archive
Earrings: Voodoo jewels
Look 3
Swimsuit: Festa Foresta
Dress: Gio Giovanni Gerosa
Earrings: Voodoo jewels
Look 4
Dress: Oh Carla
Earrings: Voodoo jewels
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