In “Victorian Psycho”, Virginia Feito stravolge le convenzioni della letteratura vittoriana trasformandole in qualcosa di grottesco, darkly comic e inquietantemente contemporaneo. Quello che inizia come un ambiente gotico apparentemente familiare si trasforma rapidamente in una discesa assurda fatta di violenza, morte e ipocrisia sociale, guidata dalla voce indimenticabile di Miss Winnifred Notty. Nella nostra conversazione, Virginia riflette sulle origini del romanzo, sul fascino dell’orrore vittoriano, sul ruolo della paura, della femminilità e dell’oscurità, e sul piacere disturbante di scrivere dall’interno della mente di una psicopatica.

“Victorian Psycho” è una sorta di viaggio assurdo, una storia di Natale “perfetta”. Come è nata questa idea? Ricordi se c’è stato un momento specifico che l’ha accesa, oppure è una di quelle storie che volevi raccontare da sempre?
No, in questo caso è stato qualcosa di molto specifico. È partito tutto dalla voce del personaggio – il tono del libro è nato da una frase che mi è venuta in mente ed è rimasta all’inizio del romanzo, quando lei dice che i suoi seni si muovono nel corsetto, ma in un modo molto preciso. Da lì ho capito quale sarebbe stato il tono del romanzo, quanto sarebbe stato assurdo, e che il personaggio sarebbe stato anche aggressivo, sarcastico, divertente e un po’ “alla Fleabag”.
L’intera storia è stata costruita attorno a quella frase. Poi le ho dato un lavoro, quello di governante, e un problema: essere una psicopatica.
Ho sempre amato la letteratura vittoriana, ma non avevo mai pensato di scrivere qualcosa ambientato in quell’epoca, forse perché mi sembrava richiedesse troppe ricerche. Questa volta però volevo davvero entrare nel personaggio, nella sua voce.
Nel prologo scrivi che la morte è ovunque, in ogni cosa. Anche nelle cose vive?
Sì, assolutamente. Pensa alla pelle morta, per esempio. Pensa ai virus, o ai microbi sulla nostra pelle. C’è morte ovunque. Certo, nell’epoca vittoriana ce n’era molta di più: morivano a vent’anni, se andava bene. Ma sì, per rispondere alla tua domanda, credo davvero che ci sia morte anche nelle cose vive.


Pensi che oggi esista anche una sorta di morte della speranza, in senso metaforico?
Sì, c’è tantissima morte di ogni tipo ovunque. Inoltre sono ipocondriaca, quindi penso di poter stare morendo in qualsiasi momento, costantemente.
Nel libro parli anche della natura letale dei capelli, l’ho trovato molto interessante.
Oh sì, la parte della parrucca. Se ci pensi, una parrucca è fatta di capelli tagliati, quindi morti.
Ho un’amica con un problema ai denti: a un certo punto le è caduto un dente e hanno dovuto inserirle della carne, che a quanto pare proveniva da una persona morta, perché non ne aveva abbastanza della sua. Questa cosa mi terrorizza, ma ovviamente l’epoca vittoriana era ancora più spaventosa. C’era arsenico ovunque, per esempio: persino i vestiti che indossavano potevano ucciderli. Io non sarei sopravvissuta allora. E poi morivano tantissimi neonati, continuamente.
Sì, nel libro descrivi anche come i bambini venissero buttati nel fuoco.
Sì, nel fuoco, nei fiumi, sui treni. C’era un enorme problema di infanticidio, perché nelle grandi città le madri non potevano essere madri single – era socialmente inaccettabile – ma dovevano lavorare per sopravvivere. Quindi o nascondevano il bambino, oppure lo uccidevano.
E se non avevano i soldi per il funerale, mettevano il neonato nella bara di un’altra persona.

“C’era un enorme problema di infanticidio, perché nelle grandi città le madri non potevano essere madri single – era socialmente inaccettabile – ma dovevano lavorare per sopravvivere.”
Assurdo. Hai scoperto queste cose apposta per il libro?
Sì, anche se all’università avevo già letto (e adorato) “The Suspicions of Mr. Whicher”, sul processo a Constance Kent, dove trovarono un neonato con la gola tagliata nel gabinetto. Alla fine confessò la sorella, anche se non sono sicura che fosse tutta la verità: credo che il fratello l’abbia aiutata a liberarsi del corpo e che sia riuscito a farla franca, mentre lei no. Ma non lo sapremo mai.
Quell’immagine del neonato morto nel water mi ha colpita tantissimo. È tutto molto epico, no? Ma allo stesso tempo anche ridicolo.
Continuavo a leggere storie del genere e mi sentivo sempre più strana, poi ho iniziato a ridere, perché le trovo assurde. Per esempio ho letto di una donna che ha strangolato il figlio, l’ha messo in una scatola e l’ha spedito alla sorella in campagna perché lo seppellisse. La sorella però non sapeva nulla, ha aperto la scatola, ha trovato un bambino morto e ha chiamato la polizia, che ha arrestato la madre e l’ha impiccata poco dopo. Io la trovo una cosa esilarante.
Nel primo capitolo la protagonista descrive Ensor House come un volto con sopracciglia arcuate e un doppio mento. Mi è piaciuta moltissimo questa idea di dare un volto a una casa. Come descriveresti il volto di casa tua?
Oh, che bella domanda. È molto posh: beve chai latte e indossa leggings da yoga. Però ha anche un dettaglio interessante, qualcosa di diverso. È annoiata e ha molti soldi. Credo che il mio palazzo sia così.


Fin dall’inizio capiamo che tutti nella casa moriranno, ma mentre leggevo continuavo a pensare che fosse tutto solo nella sua mente, nella sua immaginazione. Era tua intenzione farci credere che fosse tutto solo nella testa di Winnifred?
Assolutamente sì. Volevo che il lettore non si fidasse di lei. A volte dice cose e poi aggiunge: “No, stavo scherzando”. Altre volte pensi: “Non è possibile che una cosa del genere accada senza conseguenze”. Volevo che il lettore si chiedesse continuamente: “Sta succedendo davvero?”. E volevo anche confondere le acque, così che quando forse succede davvero, tu pensi: “Ok, forse ora è successo davvero”.
Miss Notty dice di non provare paura e che vivere con la paura sarebbe la cosa peggiore del mondo. Pensi che sia anche questo il motivo per cui riesce a essere com’è? Perché non è in grado di provare certe emozioni?
Assolutamente sì. La paura delle conseguenze è una delle ragioni principali per cui non ci uccidiamo a vicenda continuamente. Probabilmente avremmo già ucciso più volte i nostri figli e i nostri genitori, se non fossimo spaventati.
La mancanza di paura è fondamentale per il suo modo di essere. Per me, che ho paura di tutto, è qualcosa di molto liberatorio.
Ascolta i suoi pensieri intrusivi.
Esatto. Pensa che sia una buona idea seguirli. Non le importa, ed è questo che la rende gioiosa. Ma allo stesso tempo fa male agli altri.

“La mancanza di paura è fondamentale per il suo modo di essere. Per me, che ho paura di tutto, è qualcosa di molto liberatorio.”

C’è un passaggio che mi ha colpita molto: quando dice che non ha senso preoccuparsi delle persone da giovani, se poi da adulte nessuno se ne preoccuperà più, come se i bambini fossero capaci di tutto e automaticamente a posto. Lo trovo molto vero: spesso c’è un senso di abbandono da parte della società. Ti è mai capitato di sentirti così?
Sì. Quando ho raggiunto una certa età e ho capito di non essere più una bambina, le persone hanno iniziato a parlarmi in modo diverso e ho sentito che era finita. E ora, vedendo quanta attenzione ricevono i bambini, una parte di me è infastidita. Tipo: “E io?”. Ci ho messo due ore a truccarmi stamattina – vi piace la mia faccia?
E penso che questa sensazione aumenterà quando sarò una donna anziana senza figli. Chi mi amerà? Chi pagherà la mia casa di riposo? Il mio funerale? Ne voglio uno costosissimo [ride].
La protagonista parla continuamente di questa Oscurità dentro di sé, che sembra quasi il vero personaggio principale del libro. Pensi che, in un modo o nell’altro, tutti portiamo dentro di noi questa oscurità?
Sì, certo. Dipende da come la definisci. Può essere una dipendenza, abitudini autodistruttive, tratti negativi che cerchiamo di controllare, ma che a volte controllano noi. Ovviamente, se sei una psicopatica che ama uccidere bambini, quello è estremo. Ma può anche essere zucchero, egoismo, trascuratezza. Sì, abbiamo tutti un’oscurità dentro.


Miss Notty è brillante, manipolatrice, carismatica, ma anche fragile. E mette a disagio noi lettori. C’è stato un aspetto di lei che ti ha messo a disagio mentre scrivevi?
Sì. Scrivere la violenza in prima persona. Non puoi essere timida, ed è stato difficile. I corpi fanno cose orribili quando vengono uccisi, e io non amo descriverle. Però l’umorismo mi ha aiutata. E penso che lei lo userebbe proprio per manipolare il lettore.
Ci sono personaggi che sono cambiati molto durante la scrittura, rispetto alla prima stesura? Qualcuno che non voleva “fare quello che volevi tu”?
Sì, Drusilla. All’inizio era completamente diversa. Nessun arco narrativo, era noiosa – mi sono resa conto che la stavo trattando come spesso trattiamo le adolescenti. Ma le adolescenti sono spaventose, complesse, manipolatrici. Così l’ho riscritta da capo. È quella che è cambiata di più.
Miss Notty è decisamente femminista, l’unica in quella casa, almeno. Mi è piaciuto molto il passaggio in cui parla del fatto che gli uomini evitino di parlare di violenza davanti alle donne per non turbarle, quando in realtà sono le donne a sanguinare e soffrire, persino nel parto. C’era un messaggio preciso che volevi trasmettere?
Non credo che Miss Notty si interessi al femminismo. Non lo fa per le donne. È qualcosa di accidentale. Quel passaggio nasce dalla sua confusione di fronte alle regole sociali contraddittorie: le donne sanguinano, soffrono, partoriscono, ma vengono considerate delicate. È una sciocchezza.
Volevo anche convincere il lettore che questi orrori del corpo sono reali e traumatici. Le mestruazioni sono state traumatiche per me fin da quando avevo undici anni – dovremmo andarci tutti in terapia, solo per quello.
Se dovessi descrivere Miss Notty in una sola parola, se possibile, quale sarebbe?
Inibita? No. Senza inibizioni. Oppure oltraggiosa.

“Le donne sanguinano, soffrono, partoriscono, ma vengono considerate delicate. È una sciocchezza.”

Ci sono libri o autori senza i quali “Victorian Psycho” non potrebbe esistere?
“American Psycho”, Joyce Carol Oates, “Il giardino segreto”, Dickens e “Bleak House”. Soprattutto il finale.
Hai imparato qualcosa di nuovo su te stessa scrivendo questo libro?
Ho capito che devo rilassarmi con l’editing e l’autocritica. Questa volta sono entrata in una spirale, ho riscritto tutto in modo ossessivo, sono caduta in depressione. Non mi era mai successo prima. Spero di non farlo più.
Ultima domanda: qual è la tua isola felice?
La mia casa, il mio appartamento. Ovunque sia casa mia. Mi piace controllare l’ambiente, nel senso che l’estetica per me è fondamentale. Ho bisogno dei miei libri, del mio divano, della mia TV per sentirmi al sicuro. Quello è il mio happy place.



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