Da casa mia a Milano, in collegamento Zoom con Tramell Tillman negli Stati Uniti, si respira un’aria di modernità davvero perfetta per il contesto: una chiacchierata sul franchise che ha sempre superato i limiti del possibile cinematografico.
Noto per il suo Seth Milckick, il personaggio più misteriosamente affascinante della serie Apple TV+ “Scissione” – un uomo di una grazia snervante, a metà strada tra mentore e minaccia – Tramell rimaneggia quella stessa abilità per esplorare il tema dell’ambiguità morale nel (forse) ultimo capitolo di “Mission: Impossible”. A un paio di settimane di distanza dal glamour e l’emozione del Festival del Cinema di Cannes, dove “Mission: Impossible – The Final Reckoning” ha fatto il suo spettacolare debutto, Tramell si è fermato un attimo a riflettere insieme a me sul suo viaggio dagli sterili, inquietanti corridoi della Lumon Industries alle claustrofobiche profondità di un sottomarino nei panni di Capitan Bledsoe.
Una volta acclimatati nella nostra conversazione intercontinentale, ho capito chiaramente che, da portatore di segreti aziendali o di segreti militari, Tramell ha il misterioso dono di instillare nel pubblico dei suoi spettatori un dubbio: di chi ci si può fidare davvero?
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
“Il Re Leone”, quando mi sono innamorato di quel film. Al cinema c’eravamo io, mia sorella, che ha quattro anni più di me, la sua migliore amica e il mio migliore amico. Ricordo che la migliore amica di mia sorella si era appena fatta fare le treccine, e durante il film c’è stato un momento in cui ridevamo così forte che lei dovette tenersi le treccine con le mani perché le vibrazioni della risata le facevano male ai capelli [ride]. È stato così divertente, e non mi ero reso conto di quanto potessi divertirmi in un cinema finché non ho visto “Il Re Leone”.


Sì, i cinema sono i posti più belli del mondo. Invece, parlando di “Mission: Impossible”: è probabilmente l’esempio più iconico di film ad alto budget. Com’è stato entrare in un franchise così leggendario, specialmente per quello che potrebbe essere il capitolo finale?
È stato un onore farne parte. Sai, “Severance” è una serie enorme, ma “Mission: Impossible” è epico, e ne percepisci l’imponenza dal momento in cui metti piede sul set. Quando stavo girando la scena nel sottomarino, nella sala di controllo, percepivo quanto fosse verosimile lo spazio. Sai, non avevo mai avuto il piacere di essere su un sottomarino prima – a meno che non conti un ristorante a tema “sottomarino” [ride] –, ma stare in quello spazio, freddo e tutto d’acciaio, era magico. Stava a noi attori riempire quello spazio, portare calore e magia. Ho anche avuto l’opportunità di entrare nella sala siluri del Sevastopol, quando Ethan Hunt scende sott’acqua, apre la porta e vede tutti quei siluri impilati lì.
Vederlo di persona è stato assurdo… Ero a bocca aperta.

“Sai, ‘Severance’ è una serie enorme, ma ‘Mission: Impossible’ è epico, e ne percepisci l’imponenza dal momento in cui metti piede sul set.”

Cosa ti ha attratto del tuo personaggio? Hai riconosciuto parti di te in lui o esattamente il contrario?
Mi ha incuriosito il fatto che quest’uomo era il capitano di un sottomarino, che avesse avvistato Ethan in mare, l’avesse recuperato ed era disposto ad aiutarlo appena ricevuto il segnale dall’ammiraglio Neely. Quel livello di fiducia e l’impegno che i militari hanno tra loro, la volontà di portare avanti la missione e aiutare gli altri, mi ha colpito molto. Era tutto molto nuovo per me.


Il film sembra riflettere profondamente sulla trasformazione e al tempo stesso suggerisce come il franchise di “Mission: Impossible” abbia cambiato i suoi creatori. Lavorare a questo progetto ha cambiato qualcosa in te, come attore o artista?
Lavorare con attori così talentuosi come Tom Cruise e registi meravigliosi come Christopher McQuarrie mi ha insegnato molto sull’eliminare l’ego. È stato un bellissimo esercizio di improvvisazione: molte delle battute le ho ricevute sul momento o uno o due giorni prima. Avevo il compito di farle sembrare naturali, come se uscissero sempre dalla bocca di un esperto – il pubblico doveva credere che fossi davvero il capitano della nave e che lo facessi da anni. Quindi, volevi parlare del personaggio o di come interpretarlo? Inconcepibile: dovevi solo rilassarti, respirare e avere fiducia.


Il regista McQuarrie ha detto che ognuno dei suoi quattro “Mission: Impossible” doveva “avere un look e un’atmosfera diversi”. Dal tuo punto di vista, in cosa “The Final Reckoning” si distingue visivamente o tematicamente?
Per me è più intenso. La posta in gioco è più alta: c’è la minaccia del collasso globale, e si ha la sensazione che il personaggio sia davvero alle strette, perché deve convincere persone che non ha mai incontrato a fidarsi di lui e rischiare per lui. E con questo, gli stunt sono ancora più assurdi. Come Tom Cruise sia riuscito a penzolare da un aereo a migliaia di metri d’altezza è un mistero per me. Ho visto questo film quattro volte e ogni volta resto a bocca aperta.


“Ho visto questo film quattro volte e ogni volta resto a bocca aperta.”

È folle, ammirevole, straordinario, ma folle… Anche McQuarrie ha scherzato dicendo che ormai è dipendente dallo stare in ambienti estremi (deserti, sottomarini, ecc.). Qual è stata per te la parte più difficile o surreale della produzione, fisicamente o emotivamente?
Fisicamente, è stato abbastanza facile per me, dovevo solo dire alla gente cosa fare, spiegare un po’ di contesto. Emotivamente, si trattava di rimanere calmo, anche se il mio partner di scena era Tom Cruise, un uomo che ho guardato sugli schermi per anni e il cui lavoro ho sempre apprezzato. Dovevo trovare un modo per respirare, mantenere la calma e assicurarmi di non rovinare nulla.


Ti è mai capitato di arrivare sul set pensando di fare una cosa, solo per sentirti chiedere di farne un’altra completamente diversa?
Oh sì! [ride] Non sapevo mai cosa avrei fatto davvero, ero terrorizzato! C’è stato un momento in cui ho pensato: “Mi stanno facendo uno scherzo? È un rito di iniziazione e stanno solo cambiando tutto all’ultimo?” [ride]. Ma è stato così divertente, e Christopher ha diretto con gentilezza e pazienza: lui è un regista che insegna, mi ha insegnato moltissimo sul lavoro con la macchina da presa, sulle inquadrature, quindi sono riuscito a rilassarmi un po’. Ma era comunque spaventoso, di giorno in giorno.


Se potessi descrivere questo capitolo di “Mission: Impossible” con una sola parola, quale sarebbe?
Elettrizzante [ride].


Parlando di “Severance”: secondo me nel modo in cui Milchick si muove all’interno di Lumon c’è una sorta di schema coreografico: lui è come un ballerino che si dimena sinuoso in un contesto di regole rigide. Mi chiedevo, il movimento o il ritmo hanno avuto un ruolo importante nella costruzione del personaggio? Cosa rivelano di lui le sue ormai iconiche, inquietanti “danze”?
Credo al 100% che il movimento abbia avuto un ruolo chiave nella costruzione del personaggio.
A scuola di recitazione avevo fatto un piccolo studio sugli animali e quello è stato un grande punto di partenza per costruire Milchick. Si trattava di costruire un personaggio che sembrasse accordarsi con il materiale che riceveva. Dato che quest’uomo custodisce segreti, e deve creare un ambiente dove le persone si fidino di lui, pur mantenendo la disciplina, ho immaginato che i suoi stati d’animo fosser furtivi e forti, ma c’era anche una dolcezza di fondo. Per me, questo lo rende molto simile a un gatto.

“Simile a un gatto”

Sì, perché è un uomo così affascinante ma allo stesso tempo sinistro – non sembra mai davvero affidabile. Cosa ti hanno insegnato “Severance” e il signor Milchick sul controllo, o sull’illusione del controllo?
Mi hanno ricordato che l’unica cosa su cui abbiamo davvero il controllo siamo noi stessi.

Come scegli i tuoi personaggi? O sono loro a scegliere te?
Penso che sia un po’ entrambe le cose! Christopher McQuarrie ha contattato il mio team dicendo che voleva solo conoscermi, quindi non avevo idea di cosa avesse in mente, poi ho scoperto che voleva offrirmi un ruolo in “Mission: Impossible”, e di certo non potevo rifiutare! Ma non avevo ancora ben capito chi fosse questo personaggio quando me l’ha proposto.
Invece Seth Milchick mi ha incuriosito perché nascondeva un mistero, era un puzzle che volevo risolvere, e che sto ancora cercando di risolvere.


Certo. E cosa ti entusiasma di più: i personaggi che si nascondono o quelli che si rivelano?
C’è sempre qualcosa di divertente nel mistero di ciò che è nascosto, non è vero? Il perché e cosa rivelano, e quando lo fanno. Ma c’è anche qualcosa di interessante in un personaggio che si rivela, perché lo scrittore decide cosa viene rivelato, e sta all’attore capire perché svela questa verità e perché proprio in quel momento. Il mistero mi affascina tantissimo.


“C’è sempre qualcosa di divertente nel mistero di ciò che è nascosto, non è vero?”


Quale canzone o disco rappresenta questo preciso momento della tua vita?
Che bella domanda! Sto ascoltando tanta buona musica. Sono un grande appassionato di musica, di solito inizio la giornata con la musica e spesso la concludo allo stesso modo. Quale canzone? Mi viene in mente Stevie Wonder. Stevie è un artista meraviglioso, è una grande fonte di ispirazione, e la sua canzone “Another Star” è incredibilmente celebrativa. Quindi ti dirò: “Another Star”.
Stai leggendo qualcosa in particolare in questo momento?
Oh, sto leggendo un sacco! [ride] Il mio cervello viaggia tantissimo quando leggo. Ora sto leggendo una storia su Emile Griffith, un pugile degli anni ’50 e la sua vita è stata davvero avvincente. Sto anche leggendo “Sky Full of Elephants” di Cebo Campbell. Sai, di solito faccio così, prendo un libro, lo inizio, poi ne prendo un altro e lo inizio!


Qual è l’ultima cosa che hai imparato su te stesso grazie al tuo lavoro?
Ho imparato che devo lavorare sui miei problemi di fiducia! Ho grossi problemi a fidarmi. Sai, dicono sempre quella frase fatta, “Fidati del processo”, e io ogni volta sono scettico, ma è vero alla fine dei conti. Forse il mio scetticismo deriva dal fatto che ho difficoltà a fidarmi e non voglio farlo, voglio controllare tutto. Tuttavia, quello che sto imparando dagli ultimi personaggi che ho interpretato è proprio lasciar andare e fidarmi.


Il tuo atto più grande di ribellione?
Vivere autenticamente, così come sono, senza scusarmene per nessun motivo.
La tua paura più grande?
Onestamente? Essere dimenticato.
Qual è la vista più bella del mondo per te? Se potessi aprire una finestra, cosa vorresti vedere fuori?
L’oceano all’orizzonte. Infinito, forte e imprevedibile.
Cosa significa per te sentirti a tuo agio nella tua pelle?
È quando posso ballare come se nessuno guarda.
Qual è il tuo luogo felice?
Qualsiasi posto dove c’è musica.

Photos & Video by Johnny Carrano.
Styling by Chaise Dennis.
Grooming by Venner James.
Location: Carlton Cannes, a Regent Hotel.
LOOK 1
Jacket, Shirt, Pants: Dolce & Gabbana
Jewelry: Cartier
Watch: Jaeger LeCoultre Reverso (Pink Gold)
Loafers: Jimmy Choo
LOOK 2
Top, Bottom: Zegna
Jewelry: Cartier
Watch: Jaeger LeCoultre Reverso (Pink Gold)
Loafers: Jimmy Choo