Erica Vitulano al cinema è arrivata per necessità, non per ambizione. Un’urgenza interiore, una ribellione silenziosa che l’ha portata a trasferirsi a Roma e a rimettere in discussione tutto, pur di esplorare quella zona oscura e al contempo luminosa che solo la recitazione sa accendere. In “Cinedramma”, Erica non interpreta semplicemente Giulietta: la abita, la attraversa, la reinventa.
Dimentichiamo Verona, dimentichiamo i balconi: qui siamo tra le acque della laguna veneta, tra gang rivali, desideri irrisolti e una natura viva che si fonde con il corpo. Durante la nostra chiacchierata, Erica ci ha parlato della sfida di spogliarsi — letteralmente e metaforicamente — sul set, del piacere di dire tutto senza parlare, e del fascino per quei personaggi femminili che, come lei, si muovono in bilico tra dolcezza e sovversione.
Qual è il tuo primo ricordo legato al mondo del cinema? C’è stato un momento in cui te ne sei innamorata?
Ricordo che il primo film che abbia mai visto l’ho guardato insieme a mio padre al cinema, ed è stato “Jurassic Park”. Sono uscita dalla sala terrorizzata e da quel momento ho avuto incubi perenni su un T-Rex che mi inseguiva [ride].
A parte questo, i primi ricordi legati al mondo del cinema che mi hanno condizionata non sono tanto dei film che ho guardato, forse, quanto delle esperienze che ho fatto in prima persona, dei video-esperimenti che ho fatto anni fa col mio fidanzato dei tempi, che era un regista. Questi mi hanno permesso di esprimere un mondo emotivo che ho sempre tenuto molto nascosto, perché solitamente sono una persona introspettiva, riservata.
Forse proprio tutti questi esperimenti hanno contribuito a far nascere in me questo desiderio. Non sono una di quelle persone che è nata con il desiderio di fare l’attrice, quello del cinema era un mondo molto lontano da me, dalla mia vita, un mondo inaccessibile, onirico quasi. Mi sono approcciata a questo mondo perché ne ho sentito proprio la necessità.



E alla fine con “Cinedramma” hai interpretato una figura iconica del mondo del cinema e della letteratura. Com’è stato interpretarla in questo contesto che è assolutamente atipico e moderno rispetto anche le altre interpretazioni?
All’inizio per me era una sfida, perché la Giulietta di Shakespeare è un capostipite sia della letteratura che del cinema. Avevo paura, ero un po’ intimorita dal dover affrontare un personaggio del genere, legato a una figura così ingombrante, importante. Poi, però, appena ho letto la sceneggiatura, ho capito che si parlava di mondi diversi: “Cinedramma” è ambientato nella laguna di Venezia e sull’isola di Falconera, quindi contesti completamente diversi, e poi la Giulietta di Shakespeare ha 13 anni, invece la Giulietta che ho interpretato io ha quasi 30 anni, per non parlare del periodo storico: la Giulietta di Shakespeare doveva pensare a trovare marito, mentre la mia Giulietta è una donna normale, figlia di una famiglia borghese, ma la storia è assolutamente contemporanea e si rifà a delle condizioni contemporanee e alle problematiche che viviamo noi tutti i giorni. Nel film non si parla di rivalità tra Montecchi e Capuleti, piuttosto si parla di rivalità tra gang.
Ho sentito la mia Giulietta profondamente connessa a me, anche perché il desiderio del regista era che io mi fondessi col mio personaggio, che diventassimo una cosa sola: è stato come interpretare me stessa, in un’altra chiave. Ho sentito questa Giulietta molto affine a me anche per la sua connessione con la natura, con la terra: sembra appartenere a un mondo quasi diverso, una sorta di bolla rispetto a quella in cui vive Romeo, da cui lei si tira un po’ fuori. La volontà di Giulietta è soprattutto quella di riuscire a far vivere al loro figlio la vita che loro non sono riusciti a vivere perché sono stati sempre ostacolati dalle famiglie.


“Ho sentito la mia Giulietta profondamente connessa a me, anche perché il desiderio del regista era che io mi fondessi col mio personaggio, che diventassimo una cosa sola”

C’è stata una scena particolarmente difficile o emotivamente intensa da girare, o con cui ti sei connessa di più, insieme a quelle di connessione con la natura di cui mi parlavi?
Per me è stato molto interessante una scena di nudo all’inizio del film.
Non lo avevo mai fatto: mi sono sentita decisamente connessa con Giulietta, che alla fine è natura, è connessione con la terra, con l’aria, con l’acqua. In quel momento, Giulietta si spoglia di qualsiasi cosa perché è parte della natura, del creato, e l’ho ritenuta una scena necessaria. L’abbiamo girata una volta sola, ero molto rilassata, è stato un momento quasi catartico, di profonda connessione.




Invece, mi parlavi del regista, Luca Rabotti. Quanto ti ha guidato e quanto spazio ti ha lasciato per “reinterpretare” Giulietta a modo tuo? Ti ha lasciato molta libertà?
Sì, mi ha lasciata molto libera. C’è stata una fase di preparazione che abbiamo fatto sia io che Augusto [Mario Russi, Romeo] con gli sceneggiatori, abbiamo fatto varie sessioni di preparazione in videochiamata per definire alcuni aspetti dei personaggi. Luca, ad ogni modo, voleva che fossi totalmente libera, per vedere cosa nascesse istintivamente da me. La mia Giulietta, infatti, è un personaggio molto libero che però tende sempre a tenere sotto controllo Romeo, a mantenere l’equilibrio nelle situazioni in cui si trova, è molto razionale però è anche istintiva nel momento in cui capisce che Romeo non le dice la verità.



Il film in molti momenti usa il corpo, tra scontri armati, fuga e passione, come mezzo narrativo. Come cambia il tuo modo di recitare quando il corpo dice più delle parole? È una cosa che ti piace fare?
In realtà sì, io preferisco il linguaggio del corpo alle parole, forse anche perché io non sono una persona che parla troppo, quindi ovviamente lascio parlare il corpo, gli occhi, lo sguardo. Nei film che guardo, mi piace notare dai primissimi piani come nelle micro-espressioni ci sia un mondo, tutto. Credo di trovarmi molto più a mio agio nell’usare il linguaggio del corpo, è stata una cosa naturale per me.



Giulietta è madre, amante e ribelle. Quale di queste tre voci ti ha parlato più forte durante le riprese?
Apprezzo molto quando una persona ha il coraggio di affrontare le sue ombre, perché è proprio lì che si installa il cambiamento: dopo una morte c’è una rinascita. Io in Giulietta ho visto più di una volta questa volontà di mantenere lo status quo, di mantenere l’equilibrio, l’amore, per non far del male a nessuno. Ci sono stati dei casi in cui è stata anche una donna molto forte che si è ribellata nei confronti di Romeo, che si è arrabbiata quando lui ha mostrato dei lati di sé che non aveva mai mostrato prima. Mi è piaciuta questa sua ribellione. Amo i personaggi femminili di questo tipo, quelli molto forti, sfrontati, energici e ribelli, come i personaggi tarantiniani, per esempio. Ultimamente, sento una forte affinità con il lavoro di David Lynch: è uno dei registi da cui traggo più ispirazione. Ha nobilitato la figura femminile, rendendo protagoniste delle donne molto forti, oscure, ma di un’oscurità seducente, misteriosa, onirica.



“dopo una morte c’è una rinascita”



Le ambientazioni di “Cinedramma” sembrano uscire da un sogno (o da un incubo): c’è stato un momento sul set in cui ti sei sentita completamente fuori dal tempo?
Sempre! Io vivo continuamente nel “mio mondo”.
Sono consapevole che vivo molto di più nella mia testa, piuttosto che nel mondo esterno, ho il mio mondo interiore da esplorare continuamente. Da sempre ho avuto una grande fascinazione per l’indagine interiore, mi sono sempre tanto analizzata, ho sempre tanto analizzato gli altri, le situazioni.
Ma tornando alla questione del sentirsi fuori dal tempo, sono anche molto affascinata dalle altre epoche e questo è uno dei motivi per cui mi piace così tanto fare cinema, perché posso interpretare tante persone diverse, che sono diverse da me, ma che magari vorrei essere. È un po’ la scusante per indagare in ogni direzione e assumere i panni di altre persone che sono diverse da me.




Il film è una corsa verso l’amore ma anche verso la rovina. Ti è mai capitato, nella vita o nel lavoro, di inseguire qualcosa con la stessa urgenza?
Sì, fa un po’ parte del mio percorso da attrice. Come ti dicevo, io mai nella vita ho pensato di fare l’attrice. Poi, sentivo sempre di più quest’urgenza di indagare, di saperne di più, di provare ad acquisire anche più strumenti. Dopo il Covid, ho deciso di trasferirmi a Roma: una decisione molto molto sofferta perché Milano era la città in cui vivevo da nove anni, avevo la mia casa, era tutto perfetto, già collaudato. Ma alla fine mi sono trasferita a Roma per studiare recitazione: ho vissuto a casa dei miei amici per sei mesi, e sono stata in questa stanza che era lo studio di un mio amico, ho dormito sul loro materassino gonfiabile singolo a terra per sei mesi! [ride]
È stato difficile, anche la mia famiglia ha pensato fossi un po’ impazzita, ma io avevo un fuoco dentro, perché per la prima volta sentivo di poter fare qualcosa di veramente mio. Sai, tutte le mie scelte sono sempre state condizionate dalla famiglia, da quello che mi era capitato nella vita, dalla scelta dell’alternativa “meno peggio”, quindi Roma è stato un po’ il mio momento di liberazione, di presa di coscienza, di cambio netto che in pochi hanno compreso e supportato. Ho scoperto un lato di me un po’ pazzo rispetto a quello che conoscevo.


Immagino che quando ti approcci a un progetto artistico, dovendo mostrare delle emozioni o lavorare con te stessa, scopri di volta in volta qualcosa di nuovo. Qual è l’ultima cosa che hai scoperto di te stessa grazie al tuo lavoro?
Ero sul set di un videoclip dei Bnkr44 che abbiamo girato a Lanzarote: l’idea era ogni ragazza doveva interpretare un membro della band reale; dovevamo fare la prova costumi, e tutte avrebbero indossato minigonne, abiti succinti, mentre io dovevo interpretare il membro della band che indossa vestiti molto baggy. Insomma: maglia oversize, pantaloni larghissimi della tuta, ed ero l’unica vestita così. Il pensiero di chiunque, e delle mie colleghe del video, è ovviamente che quei vestiti non ti valorizzino, però io in realtà non ci ho neanche pensato, perché essendo abituata a fare l’attrice, per me è normale, anzi stimolante mettermi nei panni di qualcuno che è così diverso da me. Lì non devo essere Erica, dovevo essere qualcun altro. Il trasformismo è una delle cose che mi piace di più del mestiere dell’attore.




Mi viene in mente anche una breve scena che ho girato in “Supersex”, che è stata la mia prima esperienza: era un set completamente pazzo, erano tutti i nudi e tranquilli e per me è stato molto divertente, ho pensato, “Ma quando mi ricapita di interpretare un’attrice porno su un set così folle!”. Su quel set ero completamente a mio agio, e non me l’aspettavo, perché ovviamente c’era una componente di ansia dentro di me riguardo la percezione del mio corpo; ma su quel set mi sono tranquillizzata in un secondo e ho capito che sono questi i ruoli che mi piacciono, quelli totalmente opposti a me, quelli sfidanti, i personaggi che non mi somigliano.



“Il trasformismo è una delle cose che mi piace di più del mestiere dell’attore.”



Ultima domanda: qual è la tua isola felice?
La mia isola felice è proprio la mia casa, adesso abito finalmente a Milano e proprio in questo periodo sto arredando la mia nuova casa assecondando la mia fissa per l’estetica, tipica del segno della Vergine con luna in Bilancia! [ride] Qui io trovo il mio equilibrio tra stabilità e libertà, la sento mia.

Photos & Video by Johnny Carrano.
Styling by Virginia Carillo.
Assistant styling: Giulia Viani.
Makeup by Mara De Marco.
Hair by Damiano Seminara.
LOOK 1
Total look: Vintage
LOOK 2
Dress: Vivetta
Bracelet: Vivetta
Rings: Whoamiproject
Shoes: Numero21
LOOK 3
Total Look: Vintage
Earrings: Vivetta
LOOK 4
Total Look: Vintage
Rings: Whoamiproject
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