Amici per il Centrafrica Onlus è un’associazione laica nata nel 2001 e che, da allora, si impegna ad esprimere una partecipazione responsabile e solidale verso chi vive nella povertà, operando in Repubblica Centrafricana per promuovere diritti importanti come la formazione e l’educazione scolastica e il diritto alla salute, coinvolgendo anche programmi di sviluppo delle attività produttive autonome.
Uno degli obiettivi è quello di aiutare le popolazioni locali a prendere consapevolezza e procedere verso una condizione di vita migliore rispetto al presente: come? Fra i tanti risultati raggiunti, Amici per il Centrafrica ogni anno sostiene oltre 3.000 bambini nell’educazione, promuovendone il futuro, ed ha costruito e ristrutturato oltre 15 scuole, 2 centri sanitari e un centro odontoiatrico, oltre ad un Centro Educativo-Sanitario “La Joie de Vivre”, avviato nel 2009.
Pierpaolo Grisetti, Presidente Onlus, ci racconta questa realtà, con l’obiettivo di informare e sensibilizzare e riuscire, insieme, a creare un mondo migliore.
Com’è nata la ONLUS? Come hai capito, tu personalmente, di volerne far parte?
La ONLUS è nata nel 2001 a seguito di un viaggio della nostra fondatrice, Carla Maria Pagani, a cui oggi è intestata l’associazione e il centro sanitario Mama Carla. Lei andò in Africa per trovare la zia Beniamina, una suora comboniana che lavorava nel dispensario di Ngouma, nella Foresta dei Pigmei. Dovete pensare che l’Africa centrale è il penultimo Paese al mondo in riferimento agli indici di povertà, è 188esimo su 189 Paesi e gli Aka della foresta dei pigmei sono gli schiavi degli schiavi.
Le suore comboniane lavoravano in questa regione, che si chiama la prefettura della Lobaye, in condizioni molto critiche; Carla, con la figlia, arrivava da un periodo abbastanza difficile della sua vita, perché aveva perso il marito da poco, quando ha incontrato questa realtà. Laggiù la zia, pur essendo ostetrica, dovette operare in condizioni terribili un bambino di 2 anni, e Carla lo vide fare la degenza in mezzo alla terra rossa, poichè non c’era un ospedale, non c’erano letti, non c’era nulla; il giorno dopo questo bambino si aggravò e le morì praticamente in braccio.
Questo episodio l’aveva molto colpita, unitamente al fatto che la zia, quando Carla ripartì, le disse “guarda che adesso tu te ne ritorni in Europa e come tutti ti dimenticherai di noi: venite qui, vedete come sono le condizioni, versate qualche lacrima e poi vi dimenticate di noi”.
E invece questo la motivò ancora più a pensare di costruire in primis un ospedale, un piccolo dispensario. Io all’epoca ero il suo commercialista, lei mi disse che aveva in mente di costruire un ospedale e che io le sembravo portato per il sociale quindi mi chiese “mi aiuti?” e siamo partiti con il nostro progetto. In seguito, ci siamo impegnati nel costruire altre strutture, creare delle scuole, perché lì il livello di cultura era molto basso. Le proposi di costituire un’associazione vera e propria, in modo da poter usufruire, sia noi che i donatori, delle detrazioni fiscali.
Così decidemmo, nel 2001, di fondare Amici per il Centrafrica.
Questa è la storia dell’associazione.
La mia storia nasce qualche anno dopo, nel 2009, perché inizialmente è stata lei a portare avanti l’associazione. Una mia cugina venne a mancare, non aveva eredi e io prima che morisse le avevo parlato di questo grande progetto di solidarietà: grazie a lei riuscii a raccogliere circa 400mila euro e con quei soldi riuscimmo a costruire 14 scuole, 4 dispensari, 1 centro per ragazzi disabili, sempre però affiancandovi il lavoro dei missionari che erano presenti sul luogo. Carla all’epoca aveva avuto l’opportunità di comprare un terreno dove cominciare a costruire quello che oggi è il Centro della Gioia.
Durante la nostra serata annuale di Villa d’Este a Cernobbio Como, mi propose di partire e di fare un viaggio in Africa.
É stata l’esperienza dall’impatto più significativo a livello emotivo mai avuta nella mia vita.
Una volta atterrati in Africa, Carla ci portò in un orfanotrofio dove qualche giorno prima avevano trovato tre bambini, ancora in fasce, abbandonati vicino a una fogna; mi diedero in braccio uno di questi bambini e così si può riassumere il mio primo impatto con il Centrafrica e da lì è nata in me la voglia di fare concretamente.
È stato un viaggio di nove giorni in cui ho ha assistito all’inaugurazione di tre scuole, abbiamo visitato il luogo in cui avremmo costruito una scuola che è diventata ed è tutt’ora simbolo importante di coesione sociale fra cristiani e musulmani.
Tornai da quel viaggio con questa voglia d’Africa che cresceva dentro di me.
Inizialmente andavo ogni due anni, mentre adesso faccio anche due viaggi all’anno, per seguire tutti i grandi progetti che nel frattempo abbiamo cominciato a sviluppare e a gestire direttamente.
Infatti sei super impegnato: come riesci a gestire il tuo lavoro e tutto quello che fai per la ONLUS?
È difficile, però quando una causa la senti con il cuore, quando hai una passione, quando tutti gli anni torni in Africa e vedi i bambini che prima piangevano e ora sorridono perché prima non avevano la possibilità di andare a scuola mentre oggi ti ringraziano perché possono avere un’istruzione… perché prima erano discriminati e avevano problemi di vista, mentre oggi, anche grazie alla famiglia di Carola che ha aiutato a costruire un centro ottico, i bambini riescono ad avere gli occhiali. Oggi i bambini vivono più serenamente grazie anche a controlli medici e cure per la malaria… quando vedi tutto ciò ti viene la forza di lavorare anche tante ore al giorno ininterrottamente.
Siamo tutti volontari, e quando partiamo ci auto paghiamo il biglietto e questo è un vanto per la nostra associazione: con questa gestione di volontariato riusciamo ad investire nei progetti in Africa più del 90% di ciò che raccogliamo. In Italia di “spese vive” ne abbiamo pochissime e quindi la raccolta fondi che attualmente si aggira intorno a 350mila euro viene investito totalmente nei progetti in essere nella Repubblica Centrafricana.
“Tornai da quel viaggio con
questa voglia d’Africa…”
Qual è stata la difficoltà più grande che hai incontrato in questi anni?
La difficoltà più importante è il rapporto con le autorità o con le persone che vivono in Italia, perché, soprattutto in questi ultimi tempi, molti ti chiedono “ma perché vai in Africa? Ci sono così tanti poveri in Italia” e “perché fate arrivare in Italia queste persone povere che ci portano via il lavoro?”.
Tutte le difficoltà possono essere affrontate e si possono superare, al contrario quelle definibili come barriere nei rapporti con le con persone, con coloro che hanno questa mentalità ristretta, sono difficili da abbattere. Ciò si è ancor più accentuato in questo attuale clima di astio politico sociale causando una cultura di intolleranza nei confronti dell’immigrato e del diverso. Da ciò nasce maggiore difficoltà nel raccogliere fondi, ma noi non ci siamo mai demoralizzati, siamo sempre andati avanti.
Alla domanda perché in Africa? Come spesso affermo, in tutti i Governi c’è una cooperazione internazionale, c’è un aiuto allo sviluppo, in università ci sono le cattedre di Sviluppo Internazionale, quindi vuol dire che la condivisione delle ricchezze con i paesi poveri è un problema sentito ovunque, e se c’è una condivisione di questi principi, allora significa che si potrebbe vivere in pace, senza guerre, senza che nessuno sia costretto a scappare da atrocità. Questa è la risposta al perché aiutare gli altri e, che sia l’Africa, che sia l’America Latina, che sia l’Italia, questa è una scelta personale. Personalmente una prima scelta solidale l’ho vissuta al termine dell’università quando in una realtà di un piccolo paese quale Cislago, dove ancora vivo, ho conosciuto il prete e con un amico abbiamo messo in piedi una cooperativa di disabili: all’epoca eravamo tutti un po’ sprovveduti, avevamo un solo bambino di cui ci siamo occupati, mentre oggi ce ne sono 180 ed è una realtà della quale mi occupo tuttora della parte di controllo della gestione contabile e del rendiconto annuale. Poi ho conosciuto l’Africa e me ne sono sempre più interessato…
Credo che il pensiero più bello sia: va dove ti porta il cuore, però vai, fai qualcosa per gli altri, fai qualcosa per garantire una stabilità ed una possibilità a tutti i ragazzi di poter sognare un loro futuro; che sia in Italia, che sia in America o in Africa, questo non importa. Se riuscissimo a collaborare avendo tutti questo obiettivo, credo che il mondo sarebbe migliore. Ognuno è libero di scegliere se vivere e agire in una realtà locale o se fare un’esperienza all’estero, l’importante è che sia una scelta e non una costrizione.
Da non dimenticare che i migranti fuggono dal loro paese, in cui le condizioni sono disastrose e in cui verrebbero trucidati; dal 2001 ad oggi, la nostra associazione ha visto 3 o 4 guerre civili, ciò significa che un ragazzo nasce e cresce con la mentalità della guerra, non con quella della pace: se non li aiuti a crescere, anche culturalmente, professionalmente, non riesci a offrir loro una vita dignitosa, ed è questo l’obiettivo che ci siamo posti con la gestione diretta dei progetti.
Il nostro motto è: se sogni da solo non ce la fai, se sogniamo tutti insieme riusciamo a far diventare realtà quello che ogni giovane ha il diritto di sognare per il proprio futuro.
Quali sono le principali attività che state svolgendo lì? Avete dei progetti in cantiere?
Negli anni abbiamo creato a Bangui una struttura che si chiama il Centro La Joie de Vivre. All’interno del Centro, ci sono le scuole attualmente con 1400 bambini, dalla materna fino al “collège”, che corrisponde alle scuole superiori italiane: si insegna ai i la matematica, la storia. Abbiamo creato un centro sanitario per curare i bambini, che poi è diventato un centro pediatrico gratuito per i ragazzi fino ai 15 anni, il Centro Pediatrico di Sanità, che si occupa in particolare di malaria e tifo; a seguire abbiamo costruito un centro dentario perché in Centrafrica ci sono solo 4 dentisti su tutto il territorio. Nel 2018 grazie alla famiglia di Carola abbiamo creato il Centro Ottico Anna perché ci siamo accorti che in Africa la cataratta e il glaucoma sono problemi importanti che portano alla cecità non poche persone e gli occhiali arrivavano solo dalla Francia ad un costo di 120 euro quando un insegnante prende 30/40 euro al mese: Amici per il Centrafrica riesce a donare gli occhiali ai ragazzi, mentre per gli adulti c’è un costo di 10/25 euro.
Abbiamo creato anche un laboratorio di analisi, ci è stata donata una macchina che definiamo “contaglobuli” poiché permette di fare un’analisi approfondita del sangue, fondamentale per capire di quale malattia il bambino soffre e dargli le cure adeguate. Il Centro è collegato con la telemedicina, quindi se c’è qualche sintomo che il medico in Africa non riesce diagnosticare, è possibile trasmettere in tempo reale i dati ai nostri specialisti in Italia (ne abbiamo più di 25 nelle diverse discipline mediche) e loro nel giro di un’ora formulano ipotesi e danno consigli sulla cura della malattia.
Siamo riusciti ad ottenere un diploma per la formazione psicopedagogica degli insegnanti, perché ad un certo punto ci siamo accorti che prima di formare i ragazzi era fondamentale formare gli educatori.
Questa esigenza è scaturita da un episodio drammatico: un bambino abbastanza vivace era stato messo in castigo dall’insegnante a testa in giù, sotto il sole, e questo bambino poi era svenuto e caduto, urtando la schiena e rimanendo paralizzato; l’insegnante non è stato più trovato, probabilmente per vendetta dei parenti del bambino. Ciò ha spronato l’imminente necessità di formare gli insegnanti. Nel 2014 per puro caso, perdendo il volo di rientro per l’Italia, ho avuto modo di incontrare il Ministro della Salute: abbiamo avuto un confronto e parlato molto e ad oggi non ho ancora capito se è perché sono stato particolarmente convincente o perché gli ho offerto una bottiglia di Valdobbiadene, proprio in tal occasione ha riconosciuto l’operato importante della nostra Onlus e l’importanza di una formazione culturale a 360°gradi dai bambini sino al corpo insegnanti.
Il risultato è dato dai numeri: 500 insegnanti formati negli ultimi anni, e con alcuni di loro abbiamo sviluppato in molteplici villaggi progetti di coesione sociale essendo la scuola un’area comune di convivenza tra cattolici e musulmani che nel 2015 hanno subito una guerra civile sanguinosa. Detto ciò ancor più necessario il promuovere un progetto di integrazione tra le due culture e riappacificazione tra le varie etnie già a partire dalla scuola.
Fate già tantissime cose, ma avete un sogno nel cassetto?
Sì, ce l’abbiamo. Abbiamo cominciato a costruire un edificio quale la Scuola dei Mestieri: il nome stesso racchiude la volontà primaria che è quella di dare ai ragazzi, una volta formati, la possibilità di imparare un lavoro, una professione che permetta loro concretamente di lavorare, guadagnare, crescere culturalmente e avere una propria stabilità. La Scuola dei Mestieri è quindi nata dall’idea di creare un centro di formazione permanente dove poter formare medici, dentisti, infermieri per il nostro stesso centro sanitario. Un altro sogno è quello di potenziare la scuola Jean-Paul II aumentando il numero di aule per formare un numero maggiore di alunni.
La realizzazione di La Scuola dei Mestieri è oggi alla costruzione del tetto: ci mancano 100mila euro per terminarla e farsi che il nostro sogno si realizzi concretizzando i nostri Progetti. Lo scorso anno abbiamo ospitato In Italia due ragazze africane all’Istituto Secoli di Milano, una delle più importanti sedi di formazione moda: per un anno hanno frequentato le lezioni imparando una professione quale la tecnica del realizzare un vestito sui modelli e regolarli in base alle taglie. L’obiettivo è che le ragazze insegnino questa nuova tecnica di produzione proprio all’interno della nostra Scuola dei Mestieri, formando nuove figure professionali e favorendo la produzione locale generando così lavoro.
Il grande sogno è, quindi, quello di poter dare la possibilità ai ragazzi centrafricani di una formazione permanente e promuovere una vera cooperazione internazionale quale obiettivo primario di ogni ONG.
Inoltre, in collaborazione con l’Università Cattolica ed a connessione satellitare funzionante, vorremmo mettere a disposizione libri di testo in francese, in modo che si possano scaricare e stampare direttamente in loco: ad oggi la scuola è solo fornita di lavagne sulle quali gli alunni ricopiano imparando così a scrivere. La nostra Onlus inoltre si è voluta impegnare nel realizzare una scuola “bella e funzionale”, quindi non con il classico tetto africano, antigenico, ma optando per il lamellato.
“La nostra Onlus inoltre si è voluta impegnare nel realizzare una scuola “bella e funzionale”, quindi non con il classico tetto africano, antigenico, ma optando per il lamellato.”
Come possono le altre persone, come possiamo noi, dare una mano?
Dandoci voce. Il fatto di rendere noto il nostro operato, i nostri progetti dimostra ciò che l’associazione sta facendo dal 2001.
Un aiuto concreto può essere di vario tipo: attraverso un impegno come volontario, con delle contribuzioni in denaro: per esempio con soli 20 euro al mese si ha la possibilità di sostenere a distanza un bambino, garantendo la formazione scolastica, le cure sanitarie. Oppure un sostegno concreto può essere legato a specifici progetti: per esempio Amici per il Centrafrica è impegnata nel Progetto di sostegno delle Mamme con i propri bambini in carcere promosso in collaborazione con UNICEF. Oppure, il modo più semplice per aiutarci è con il 5×1000, mettere una firma sulla dichiarazione dei redditi, così una parte delle imposte che paghiamo viene destinata alla nostra associazione.
Ogni novembre, inoltre, organizziamo la nostra Charity Dinner a Villa d’Este a Cernobbio: per noi rappresenta un evento molto importante che coinvolge imprenditori, sostenitori, giornalisti e vip, tra i quali da citare Elena Barolo quale madrina del nostro progetto Adozione a Distanza (lei stessa ha adottato una bambina), Beppe Bergomi, Giorgia Palmas, Filippo Magnini. Anche il mondo digital ci sta aiutando molto infatti alcune influencer sostengono la nostra Onlus e loro in primis ci permettono di coinvolgere un target più giovane. Ciò è di fondamentale importanza perché l’avvicinare alla nostra realtà i giovani ci garantirebbe una continuità ed un futuro.
Altra idea sarebbe quella di aiutarci a promuovere la realizzazione in terra africana di un documentario, o un cortometraggio: un’iniziativa che ci aiuterebbe a testimoniare ed amplificare il nostro operato.
“…alcune influencer sostengono la nostra Onlus e loro in primis ci permettono di coinvolgere un target più giovane”
Prima ci hai parlato del momento in cui sei arrivato in Centrafrica, hai tenuto in braccio questo bambino; nel corso degli anni, c’è stato un momento in particolare che ti è rimasto nel cuore?
Ce ne sono tanti, ma un paio di episodi in particolare che ho spesso raccontato, avvenimenti semplici ma che rendono la dimensione dell’esperienza si vive in Africa quotidianamente.
Uno è un episodio unico nella sua semplicità, l’altro è più drammatico, ma entrambe fanno comprendere che cosa è l’Africa, e che cosa possiamo fare noi per questa terra. In Africa ogni mattina si ha la sveglia alle 5.30 e la giornata ha inizio con la Santa Messa e questo ti dà la forza per affrontare la giornata, poiché in Africa devi imparare a metterti una maschera per essere forti e sorridere per dare serenità.
Un giorno, mentre si tornava da messa, attraversando la strada nei pressi della nostra scuola arriva un gruppo di bambini, e mi accorgo che una bambina sta piangendo disperata, allora le vado incontro e le chiedo cosa accade. La bambina, che aveva 6 o 7 anni, mi spiega che aveva rotto la ciabattina e non sapeva più come camminare e che ogni mattina per raggiungere la scuola doveva percorrere 10 km quindi. La prendo in braccio e le dico di non piangere e che nel centro dei volontari avremmo trovato un altro paio di scarpe, ancora più belle… e così fu donandole un paio di ciabattine rosa che hanno ridonato il sorriso alla piccola. Un piccolo gesto, concreto che a noi può sembrare insignificante ha rappresentato tanto.
Invece un altro episodio che mi ha segnato ha avuto luogo a Bagandou, in Foresta in assenza di istruzione, cultura la stregoneria fa ancora da padrone: ogni volta che accade un qualcosa in un villaggio si cerca sempre un capro espiatorio. Un giorno, con padre Aurelio, un prete italiano carmelitano, siamo andati a trovare un ragazzo in carcere, finito lì perché il padre lo accusava di avere nello stomaco gli spiriti maligni e voleva ucciderlo. Il ragazzo era stato rinchiuso per tutelare lo stesso ed evitare venisse ammazzato dalla stessa famiglia. All’improvviso una grande confusione: il ragazzo era riuscito ad evadere e tutto il villaggio lo rincorreva dal carcere. Il ragazzo, disperato, per dimostrare che non era posseduto da spiriti maligni compie un gesto estremo ferendosi e procurandosi un taglio in pancia. L’abbiamo portato immediatamente in ospedale, dove è stato operato e due giorni dopo lo abbiamo accompagnato a 300 km di distanza dove lontano da tutto forse avrà avuto la possibilità di tornare a vivere.
Di queste storie purtroppo ce ne sono tante, spesso i bambini vengono allontanati dalle famiglie perché si pensa che siano stregati e maledetti, e tutto ciò nasce da un’ignoranza profonda e dalla totale assenza di cultura.
Thanks to Carola Muttoni and Pierpaolo Grisetti.