C’è un momento in cui i fiori smettono di essere solo bellezza e diventano vita, memoria, emozione. Per Cecilia Paganini quel momento è arrivato quasi per caso, ma con la forza di un destino annunciato: tra le mani di bambina sporche di terra e i ricordi dei nonni con passioni da ereditare, si è accesa la scintilla di un talento che oggi illumina La Fiorellaia.
Qui, ogni fiore racconta una storia: un matrimonio, un evento, un’emozione che resta impressa negli occhi di chi osserva. Cecilia non ha seguito la strada tradizionale, e forse è proprio questo il segreto della sua magia: ha costruito la propria visione pezzo dopo pezzo, mescolando creatività, esperienza, sensibilità e coraggio. Durante la nostra chiacchierata, Cecilia mi ha portata dentro il suo mondo, dove colore, forma e musica si intrecciano, dove il gesto del fiorista diventa un linguaggio universale e dove l’arte del fiore si trasforma in un’esperienza da vivere e conservare.

Ti va di raccontarci il momento in cui hai capito che i fiori non sarebbero stati solo un hobby, ma la tua professione?
Io sono sempre stata appassionata alle piante per via dei miei nonni. Il mio nonno paterno, che purtroppo non ho mai conosciuto, collezionava già negli anni ’50 tulipani da giardino, e la mia nonna materna era una grandissima amante delle piante da giardino. Tutta la famiglia si riuniva a fine stagione per ritirare duecento vasi di gerani. Poi, io sono sempre stata l’amica che curava le piante morenti! [ride] Insomma, è un istinto che ho avuto da sempre, ho sempre giocato con le mani nella terra; è una sensibilità che ho allenato per tutta la vita.
Sai, io prima lavoravo per un’azienda di grandi distribuzioni, ricoprivo un ottimo ruolo, ero affermata dal punto di vista lavorativo, il che è stata una fase di passaggio che mi ha aiutata tantissimo per fare impresa ed essere a capo di un gruppo di lavoro. Tuttavia, ero arrivata ad un punto di carriera lavorativa in cui non avevo più tempo libero per coltivare quello che è sempre stata la mia urgenza creativa. Io ho sempre fatto tante cose, dipinto, fotografato, suonato il trombone, e sono anche una pasticcera.
Infatti, io so che hai fatto anche un corso di grafica, tra le varie cose. Tutte queste esperienze lavorative hanno in qualche modo influito sulla tua visione del flower design?
Assolutamente sì. Io non sono laureata, non ho neanche la maturità: per una serie di vicissitudini personali non ho studiato, ma ho fatto tante cose diverse, ed è stata quella la mia formazione. Pensa, mio marito invece è l’opposto di me, uno studioso vero, un ingegnere numerico, uno che incasella tutto e mi dice sempre, “La tua grande fortuna è che non hai un metodo che ti è stato trasmesso, ma te lo sei costruito tu da sola attraverso le tante esperienze che hai fatto”.
I miei genitori mi hanno sempre insegnato a trasformare in concreto un pensiero, un’emozione, un concetto, quindi io se penso qualcosa provo automaticamente ad esprimerla concretamente. Questo tipo di processo che ho interiorizzato lo riporto tantissimo all’interno dei miei progetti. Credo che questa sia la forza di Fiorellaia: riuscire ad esprimere quello che è il mio punto di vista, l’identità del brand, la necessità del cliente attraverso il fiore e tutti gli elementi decorativi che possono supportarlo.
Tornando all’esperienza con questa grande catena per cui lavoravo prima di fondare la Fiorellaia, ad un certo punto mi sono ferita fisicamente, quindi sono stata costretta a stare a casa per un po’. In quel periodo ho capito che qualcosa della mia vita doveva cambiare. Un giorno una mia amica mi disse che il fiorista del paese stava cedendo l’attività; conoscendo il mio pollice verde, mi disse: “Secondo me, quel negozio è tuo. Poi ti inventerai qualcosa, ti verrà l’idea giusta, ma quel negozio è tuo”. Era ottobre del 2015, quindi dieci anni fa, quando ho rilevato questo negozio con la mia mamma. Non sapevo che sarebbe diventata la mia vita professionale, però sapevo di avere talento. In un anno ho imparato tutto, i nomi di tutti i fiori e come si comportano. Ho fatto un corso con Federfiori, prendendo il diploma di fiorista europeo, e con la stessa classe di studio, a luglio del 2016 ho progettato l’allestimento del mio matrimonio. Dopo il mio, nel 2016 ho allestito altri due matrimoni; l’anno successivo sono stati 35, poi, i due anni successivi 80 matrimoni a stagione. C’è stata una crescita impressionante e anche impegnativa.
Nel 2018 abbiamo iniziato a pensare a Via Milano 43, che era il mio spazio a Brescia, la mia nuova casa Fiorellaia, aperta nel 2019 e chiusa, però, dopo tre anni per il Covid. È stato veramente uno spavento grosso, nel senso che io avevo appena deciso di fare questo investimento con già 60 lavori confermati, e tutti con privati, ma il supporto da parte dello Stato non è stato adeguato e il settore si è completamente fermato per due anni. Senza dubbio oggi posso dirti che è stato quel trauma lì che mi ha costretta a dire “non posso rimanere ferma solo in un settore”: di conseguenza, è nato lo shop online, i canali social, abbiamo cominciato a lavorare per gli aziendali. Poi, c’è stata un’ennesima evoluzione nel 2024 e soprattutto nel 2025, quest’anno, in cui abbiamo deciso di chiudere il negozio, restando comunque aperti su ordinazione, con lanci di capsule prodotto come proposta design.
La comunicazione sai meglio di me che ha bisogno del suo tempo, va curata, e noi, in particolare, stiamo lavorando sul trasmettere che siamo effettivamente un flower design studio, uno studio di progettazione in cui il fiore è al centro dei nostri progetti, ma allo stesso tempo lo manipoliamo affinché possa portare un risultato che non necessariamente vede il fiore come centrale, perché movimentiamo anche molti altri elementi.

E come descriveresti lo stile di Fiorellaia a qualcuno che non lo conosce? Quali sono gli elementi chiave che rendono il tuo progetto riconoscibile?
Io credo di avere una manualità molto poco standard: non avendo un retaggio da fiorista tradizionale, ho un punto di vista molto fresco sulla lavorazione, non sono ferma alle regole. ìe Rispetto, ovviamente, la regola per cui il fiore per durare deve bere, però sicuramente l’utilizzo della forma e del colore è fondamentale per me, è la visione che fa la differenza. Di fronte ai miei lavori, i BPM devono essere alti, alla gente deve battere il cuore, quindi mentirei se ti dicessi che lavoro solo col fiore: sicuramente è il mio evento centrale, ma poi c’è tutto il resto, perché ci tengo che alla gente arrivi qualcosa di impattante.
È nata anche l’Accademia Fiorellaia per professionisti: cosa significa per te insegnare flower design, cosa cerchi di trasmettere ai tuoi studenti, anche al di là della tecnica?
Cerco di insegnare il valore della professione. Poi, ovviamente, ci tengo ad insegnare ai miei studenti ad evitare tutti gli errori che ho fatto io. Ci sono stati periodi in cui il fiorista aveva un’identità diversa all’interno della società, perché il fiore se ci pensi c’è sempre, nelle belle e nelle brutte occasioni, però adesso il ruolo dell’elemento è cambiato tanto nelle vite delle nuove generazioni. Questo va insegnato ai ragazzi, e va anche dato loro un punto di vista su alcune cose importanti da sapere, prima tra tutte che aprire e gestire un’azienda non è uno scherzo.
Prima accennavi anche al tuo lavoro digital, sei anche una creatrice di contenuti, con una forte presenza digitale. Quanto conta secondo te oggi l’estetica visiva sui social nel tuo lavoro di flower designer, e come concili la vita reale dei fiori con quella virtuale?
Se devo disegnarti una piramide di valori, credo che in cima ci sia sempre l’onestà, nel senso che quello che trasmetto è sempre prima di tutto la verità di Fiorellaia. Non a caso, rispetto a un anno e mezzo fa, noi stiamo comunicando un po’ meno, proprio perché l’attività è cresciuta tanto, non solo in termini economici, ma proprio a livello di target cliente.
Nell’ultimo anno abbiamo lavorato per Netflix, Illy, Iliad, abbiamo fatto produzioni che superano dei fatturati che se me l’avessero detto non ci avrei creduto, e quindi proprio per una questione di onestà e perché sono molto responsabile e rispettosa del mio progetto, dei ragazzi che lavorano con me, dei miei clienti, la mia priorità è stata quella di concretizzare questa crescita ed essere presente nonostante le varie vicissitudini, perché dal momento in cui tu salti, non tutte le persone hanno le gambe per saltare con te.
Un’azienda, per funzionare bene, deve avere persone che corrono alla tua velocità, che lavorano con la tua stessa precisione. C’è stato un cambiamento di ruoli all’interno della nostra azienda, ci stiamo riprogrammando affinché la mia persona, quindi il mio volto, sia un po’ più presente sui social, stiamo lavorando per introdurre dei video legati alla composizione pura, e mi piacerebbe anche reintrodurre il “Fiore del venerdì”. Quella per me era un’occasione per formare ed educare un pubblico che, se diventa più consapevole, riesce a dare maggiore valore a quello che è il nostro lavoro e il nostro ruolo quando veniamo chiamati in causa. Ad ogni modo, è importantissimo che tutto quanto sia sempre coerente con la verità dell’azienda.
Pensavo che i fiori, quelli recisi in particolare, hanno vita breve, ma tu in che modo li fai durare nei ricordi delle persone? Che cosa speri che resti dopo un evento o dopo la fine di una composizione firmata alla Fiorellaia?
Ti dirò una verità che ti farà cambiare il punto di vista, sei pronta? I fiori muoiono anche se sono attaccati alla loro pianta, e non tanto più tardi rispetto a quando li recidi. È comunque una violenza, ma è importante sapere che la vita di un fiore ha comunque una durata breve.
Per rispondere alla tua domanda, è importante pensare a chi riceve i fiori o a che ruolo devono avere. Se io so che tu sei una persona delicata, romantica, con determinati tratti della personalità, e ti porto un mazzo di fiori nero, con i fiori tropicali spigolosi arancioni e gli Eryngium che sono blu spinosi, non lo so se sei contenta. Forse, invece, se ti porto delle rose aperte a mano, o ti stupisco con un fiore che non hai mai visto, di un colore particolare, però comunque morbido, rotondo, con una nuance delicata, quando lo vedi in casa tua un po’ di felicità la provi.
Poi c’è sempre la questione della formazione. Io quando faccio i miei flower bar, sia per gli aziendali che per i privati, regalo sempre una cartolina su come far durare o seccare i fiori, su come viverseli in casa. Ci sono ovviamente delle regole molto semplici che se vengono seguite fanno durare meglio il ricordo e non fanno neanche vivere questa sensazione di spreco che spesso si prova.

“Di fronte ai miei lavori, i BPM devono essere alti, alla gente deve battere il cuore, quindi mentirei se ti dicessi che lavoro solo col fiore…”

È molto importante per te anche associare la musica ai tuoi eventi, o alle stesse composizioni, non è vero? Sul tuo sito, infatti, ho notato la sezione in alto, “Ascoltaci”, con le playlist di Spotify associate a ciascun membro del team. La musica in che modo è importante nel tuo lavoro, in che modo ti ispira, ti nutre? Sai, spesso si dice che anche le piante sono nutrite dalla musica, secondo te è vero?
Sì, la musica è un insieme di frequenze, e come tale influisce su ogni essere vivente, compresi i fiori. La musica per me è qualcosa di molto intimo, nel senso che è qualcosa che ho indagato dentro di me, che mi porta un piacere e un sentimento unico. La musica è stata anche quella cosa che mi ha fatto conoscere mio marito Marcello, che amo alla follia, e quindi la musica senza dubbio, visto che è sperimentazione, visto che attraverso lei ho sperimentato tanto e ho ricercato anche la mia persona, per me è una forma d’arte totale e totalizzante.
Quali sono le tue ambizioni per il futuro di La Fiorellaia? Quale sogno vorresti realizzare?
Sicuramente diventare più grande, migliorare, avere un gruppo di lavoro più numeroso: i ragazzi che ho adesso sono l’essenza di quello che io voglio. Non vorrei nient’altro che affermarmi in quello che sto facendo in questa fase, che per me è un nuovo inizio. Ad oggi abbiamo una collaborazione continuativa con Loewe, un bellissimo e proficuo rapporto con Veralab, abbiamo fatto un bellissimo progetto per Elena Miró, e molto altro. Spero, tra due anni, per esempio, di aver creato continuità, di essermi affermata come Cecilia Paganini che è artista del Fiore, con una visione precisa del mio settore e con uno studio di flower design che viaggia bene e che è riconosciuto.
E qual è la tua paura più grande?
Fallire.
Ogni cosa nella vita ha il suo tempo, muta, si trasforma. Il fallimento può declinarsi in tanti modi – fallire un progetto, fallire un’aspettativa – e io lotto tantissimo per evitare che avvenga, ma credo che il fallimento sia una paura concreta per tutti gli imprenditori.
E cosa ti fa sentire sicura di te?
Sai, ho avuto delle esperienze molto negative da piccolina, che ho dovuto metabolizzare bene per restare sana mentalmente. Sono in analisi da quando ho 24 anni, tra l’altro con la stessa persona che ormai mi conosce benissimo, e la psicoterapia è diventata una palestra: mi piace vedere come sono riuscita a strutturarmi e maturare attraverso le cose che mi succedono. Ti faccio un esempio: il primo dipendente che si è licenziato per me è stato un vero e proprio lutto di separazione, mentre con l’ultimo, ho capito che semplicemente non stava più correndo alla mia velocità e ho realizzato che spesso, quando si crea dello spazio, quello spazio è riempito da qualcosa di non necessariamente migliore, ma più al passo con te. Per me è molto rassicurante sapere che sono stata capace di diventare grande, di maturare, di mettermi in gioco e di saperlo fare sempre.
Il mio nido, casa mia e mio marito, mi rassicurano moltissimo: anche se mio marito è l’opposto di me, io sono caciarona, agitata, mentre lui è una persona molto quieta, il nostro nido è veramente curato, la nostra casa è cresciuta con noi, abbiamo i nostri cinque gatti e un amore di canetto che abbiamo salvato dal canile, e tutto questo mi mette pace.
A livello lavorativo, mi fa sentire al sicuro la continuità, perché ti dà la liquidità per essere serena, e le persone fidate intorno a me e l’orgoglio di avere persone che ogni giorno scelgono di lavorare a questo progetto insieme a me. Questo è un pensiero profondo, però è reale, e bisogna sforzarsi in alcuni momenti di ricordarselo. Così come il pensiero che tutto torna indietro: questo per me è veramente rassicurante, l’idea che ogni cosa che succede, ogni cosa che è successa in questi dieci anni di Fiorellaia ha sempre avuto un significato.


Cosa significa per te sentirsi a proprio agio, nella propria pelle?
Io penso che sia uno stato raggiungibile se lavori in modo sincero su te stessa e comprendi le tue fragilità, i tuoi limiti e anche i tuoi punti di forza. Non è semplice, perché tendiamo sempre a provare un po’ vergogna perché la società tende a metterti pressione, ma riconoscere i propri punti di forza è fondamentale. Se hai una visione chiara della persona che sei, in tutte le tue sfaccettature, anche dei difetti, allora riesci ad essere onesto e a costruire anche una vita privata, un ambiente professionale, dei legami lavorativi e personali che rispecchiano quello che sei.
Non sei sotto ricatto mai: questo per me è stare bene nella mia pelle.
Sai, io sono una persona molto ansiosa, ma dal momento in cui ho capito quali sono le mie fragilità e ho capito che alcune non le risolverò mai, ma ho dei cuscinetti che so dove posizionare in modo che mi siano salvifici, mi è cambiata la vita.
Poi, è anche vero che tra tutte queste cose bellissime che ci siamo dette ci sono anche dei lati negativi. Per esempio, io e mio marito non abbiamo figli per diversi motivi, tra cui il ritmo molto faticoso della mia vita; quindi, a volte provo del senso di colpa, perché penso che se il bambino non è arrivato, magari è perché sono troppo stressata. Quando pensieri come questo sopravvengono, io riconosco ancora più chiaramente quanto salvifica sia per me la terapia, che mi ha aiutata ad arrivare alla conclusione che se il bambino non è arrivato, va bene così, non ho bisogno di quello per identificarmi né come donna né come individuo, con la consapevolezza di fare comunque tutto quello che mi è possibile fare nel momento in cui mi trovo, quindi senza rimpianti.
Ti faccio un’ultima domanda: qual è la tua isola felice?
I miei viaggi, i miei amici, e mio marito Marcello.
Sai, Maria Luisa, io quando ho dei momenti in cui magari sono molto spaventata perché ho mille scadenze e non so se ce la faccio, sono riuscita a sviluppare un pensiero tale per cui, esco da lavoro e mi dico: “Cecilia è una cosa, e La Fiorellaia è figlia di Cecilia, però Cecilia e La Fiorellaia sono due cose distinte”. Quindi poi esco con mio marito, esco con i miei amici e mi passa tutto, sto un po’ con il mio canetto e mi passa tutto.
Anche i viaggi, come dicevo, per me sono un’isola felice, perché quando viaggio guardo come si comportano i colori, come si comporta la natura, come è l’ambiente, come sono i sapori, guardo gli occhi di persone che hanno un punto di vista sulla vita diverso dal mio, e per me quella è vita e mi sento molto privilegiata a poterlo fare.

Thanks to mm studio.


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