C’è qualcosa di magico nel modo in cui Anna Manuelli parla del cinema. Forse è proprio la sua capacità di custodire lo stupore che l’ha portata dalle quinte teatrali alle produzioni internazionali, dalle trincee di “SAS: Rogue Heroes” alle strade di “Gangs of Milano”.
Anna rappresenta una nuova generazione di interpreti italiani capaci di muoversi con naturalezza tra dimensioni diverse. Durante la nostra chiacchierata, si è raccontata senza filtri: dalla sua esperienza sul set croato dove ha interpretato una partigiana siciliana, al ritorno nei panni della complessa Isa. Tra aneddoti divertenti e riflessioni profonde, emerge un’artista che ha fatto della propria “ribellione” – seguire i sogni contro ogni logica di sicurezza – la chiave per aprire porte impossibili.

Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
Quando ero bambina e vedevo i film che mi colpivano, mi entusiasmavo, mi sentivo parte di quei mondi. Tra i miei primi ricordi del genere c’è “Il Signore degli Anelli”, tutte le grandi saghe, in realtà, che guardi e pensi, “Cavolo che mondo meraviglioso”. Un mondo a cui io non appartengo, ma a cui vorrei tanto appartenere.


Adesso, in “SAS: Rogue Heroes” interpreti una partigiana siciliana. Com’è stato lavorare in un contesto storico e internazionale così complesso?
È stato molto bello, molto entusiasmante. Il progetto è creato da Steven Knight, di cui io sono una grande fan, quindi per me è stato proprio un grande traguardo essere lì. È stato interessante anche perché la serie è ambientata durante Seconda Guerra Mondiale, e di quel contesto c’è tantissimo da dire. Poter interpretare una partigiana è stato veramente bello, ti si riempie il cuore al pensiero che queste centinaia di migliaia di persone hanno vissuto delle vite veramente lontanissime da noi, con un’urgenza di agire, di fare qualcosa di concreto per poter rendere la situazione un po’ più vivibile. È rigenerante calarsi in questi personaggi, che ti fanno riflettere su come queste persone abbiano vissuto davvero: erano persone come noi, che però vivevano in un contesto totalmente diverso, pieno di difficoltà, quindi sono esempi di coraggio incredibili.

“È rigenerante calarsi in questi personaggi, che ti fanno riflettere su come queste persone abbiano vissuto davvero”

Ti sei sentita subito a tuo agio con una produzione internazionale o ci sono state sfide particolari? E come le hai affrontate?
Devo dire che è stato un ambiente molto bello, e che nonostante il resto del cast si conoscesse già, perché avevano girato già la prima stagione, sono stati accoglienti, carini con me, quindi mi sono trovata benissimo. Poi eravamo in Croazia, in un contesto bellissimo!



Steven Knight, di cui parlavamo prima, è noto per la cura nella scrittura e nella costruzione dei personaggi. Com’è stato lavorare ad un suo progetto?
Il talento di Steven è veramente straordinario, il suo modo di scrivere e di creare storie è unico, ti viene da pensare: ma cosa c’è dentro quella testa? Quindi, è stato molto affascinante.
Devo dire che io su quel set non mi sono mai sentita “la nuova”. È stato un sollievo, perché ovviamente ero preoccupata, prima di partire. Tra l’altro, ho ricevuto la notizia che avrei fatto parte del progetto veramente a ridosso dell’inizio delle riprese. In fretta e furia, quindi, ho visto la prima stagione, poi sono partita per la Croazia con l’ansia che avrei trovato un gruppo compatto di persone che avevano già lavorato insieme, che si conoscevano già tutti. Invece, dal punto di vista umano è stato veramente bellissimo, e quindi anche lavorativo, perché poi le due cose vanno sempre di pari passo.

Hai dovuto affrontare delle scene d’azione che sono state per te particolarmente complesse e impegnative dal punto di vista fisico?
C’erano parecchie scene di guerra, spesso ci mettevamo due o tre giorni a girare una sola scena. Io avevo una mitraglietta degli anni Quaranta sempre a tracolla, dovevo correre, magari lanciarmi in una trincea… Le scene d’azione erano bellissime e anche gli effetti speciali erano incredibili. Ti sentivi davvero in una trincea, i proiettili sembravano arrivarti davvero dietro la testa, sentivi e vedevi le cose come se ti accadessero davvero intorno.

Hai studiato con un trainer o un coach che ti ha specificamente allenata per questo?
Sì, abbiamo fatto una lezione con dei maestri d’armi per capire come usare le armi, appunto, perché non è una cosa totalmente “safe”, bisogna stare molto attenti col grilletto eccetera.
Il primo giorno sul set, mi ricordo, avevo addosso tanta adrenalina, mi sembrava di stare in guerra per davvero. Quel primo giorno è stato esilarante, devo dire. Poi, io ho sempre adorato i film d’azione.


Quanto è stato importante per te raccontare la resistenza italiana attraverso una produzione internazionale come questa?
È stato molto emozionante trattare temi così importanti e fondamentali per la nostra storia. Il mio era un personaggio che rappresentava un’intera fetta dell’Italia che ha lottato con tutto ciò che aveva per la giustizia e per il bene di tutti. È stato interessante anche esplorare il concetto della capacità di mettersi in gioco in una situazione di vita o di morte. Spero che questo progetto possa essere utile anche ai giorni nostri, per imparare a prendere posizioni nella propria vita, per non ripetere alcuni errori.

“Spero che questo progetto possa essere utile anche ai giorni nostri, per imparare a prendere posizioni nella propria vita”

C’è stato un momento, o una scena in particolare su cui hai aneddoti da raccontare?
C’era una scena in cui due attori dovevano tenere un asino ciascuno con delle corde.
C’ero anche io, dovevamo camminare con la camera che ci precedeva, ma gli asini, ovviamente, facevano quello che volevano. Ad un certo punto c’era un dialogo in cui io dovevo rivolgermi all’altro attore: mi giro verso di lui, quindi, aspettandomi che fosse accanto a me, e invece lo trovo cento metri dietro, perché l’asinello si è fermato [ride]. Ovviamente non è facile far muovere un asino quando si ferma, quindi quel momento è stato comico!


Invece, tornare nei panni di Isa in “Gangs of Milano” ti ha dato l’occasione di esplorare ulteriormente il personaggio, che è particolarmente complesso e intenso. Come si è evoluta Isa nella seconda stagione?
Isa è un personaggio a cui sono molto affezionata, perché ciò che deve affrontare scaturisce una fragilità immensa dentro di lei, quindi è stato molto bello ritrovarla. Adoro il rapporto così difficile ma così essenziale che ha con suo fratello, anche nella seconda stagione, in cui poi ha degli sviluppi. È bello vedere come in queste situazioni di grande difficoltà personale le figure di riferimento siano sempre le persone che ti vogliono bene: chi ti vuole bene è assolutamente essenziale per la sopravvivenza.
Insomma, Isa è un bel personaggio, complesso, che ti fa fare tante domande su quante difficoltà possono vivere le persone, difficoltà che magari non puoi immaginare quando incontri qualcuno, perché la mente è insondabile.

“…le figure di riferimento siano sempre le persone che ti vogliono bene”

Ci sono state scene o relazioni tra personaggi che ti hanno particolarmente colpita o sorpresa rispetto alla prima stagione?
Ci sono varie cose che non mi aspettavo. Senza fare troppi spoiler, dico che questa stagione è piena di colpi di scena. Non credo che vada come uno si aspetta che vada: guardando la prima stagione uno magari si fa un’idea di cosa può succedere e invece poi succede tutt’altro.

Milano è quasi un personaggio della serie. Come hai vissuto la città durante le riprese, e in che modo pensi che influenzi la narrazione?
Non avendo mai vissuto a Milano non avevo un’idea precisissima di cosa fosse la città in sé, di quale energia ti manda… Io sono di Firenze, e avevo un’idea di Milano che si rifaceva molto allo stereotipo della moda, dei lavori d’ufficio nei grandi grattacieli. Invece è stato interessante vedere uno spezzone completamente diverso della città, che è quello su cui la serie si concentra: la periferia, le situazioni di difficoltà che non hanno niente a che fare con l’idea di Milano che di solito si ha. Poi, le città sono sempre, ovviamente, piene di persone, quindi infinitamente sfaccettate se pensiamo ai vari contesti che ci puoi trovare dentro.


Il teatro è stato il tuo punto di partenza. Che rapporto hai oggi con il palcoscenico? Hai progetti teatrali in vista?
Purtroppo, negli ultimi anni non ho avuto occasione di fare molto teatro, cosa che mi manca molto: ho fatto più cinema e televisione. Adesso, però, ho scritto il mio primo spettacolo di cui sono estremamente entusiasta. Quindi, quello sarà il mio prossimo progetto teatrale, che dovrebbe forse vedere la luce molto presto, a Londra. Poi, non vedo l’ora di portarlo anche in Italia. Non vedo lora di ributtarmici di testa, nel teatro.
Congratulazioni e buona fortuna, allora! Insomma, parli tre lingue, canti, danzi e pratichi scherma: quanto conta la versatilità nel tuo lavoro quotidiano sul set?
Ho fatto scherma per tantissimi anni, ho fatto un po’ di danza quando ero piccolina, e poi movimento corporeo relativo al teatro, e tutto questo è ovviamente fondamentale per essere multitasking sul set. È molto utile, perché non sai mai cosa ti può venire chiesto, non sai mai cosa cercano per un certo personaggio. Quindi è sempre meglio essere preparati su vari fronti. Poi ovviamente puoi fare uno studio approfondito su una certa skill quando vieni preso per un progetto che richiede determinate cose, quindi magari ci sono tante abilità che puoi sviluppare anche da zero o quasi, preparandoti per un personaggio, anche perché è impossibile essere onniscienti.
È il bello del nostro lavoro, che ti dà la possibilità, tra un progetto e l’altro, quando hai del tempo libero, di dedicarti ad approfondire altre cose.



E qual è il tuo must-have sul set?
Il copione! Poi, ho degli anelli che porto sempre con me, ognuno con un suo significato in base a chi me l’ha dato, a come e quando l’ho trovato, eccetera: anche quelli li porto sempre con me.
Invece, quale è stato fino ad ora il tuo più grande atto di ribellione?
Credo sia stato proprio quando ho capito che volevo fare questo lavoro.
Sai, quando sei adolescente sogni molto, e io non pensavo poi che concretamente la mia vita si potesse concentrare su proprio quei sogni lì. Mi ci è voluto molto coraggio per decidere di dare tutta me stessa e fare solo quello. È stato quindi un atto di ribellione, credo, verso un modo di pensare che ci viene inculcato dalla società, secondo cui la vita va in un certo modo: finisci il liceo, fai l’università, poi lavori. Invece, io a un certo punto ho fatto le valige e me ne sono andata a Roma a frequentare il Centro Sperimentale, che ovviamente non mi prospettava un futuro certo e stabile. Il mio atto di ribellione forse è stato impormi sulla paura che quella cosa poi non andasse in porto e farla lo stesso, provare a metterci tutto, col pensiero che se poi non fosse andata bene, almeno ci avrei provato.

“Il mio atto di ribellione forse è stato impormi sulla paura che quella cosa poi non andasse in porto e farla lo stesso”

E invece la tua più grande paura?
Forse, parlando sempre del lavoro, è non riuscire a dar forma pienamente a ciò che vuoi trasmettere tramite un personaggio. Sai, i personaggi sono preziosi, perché è come se fossero delle persone: magari tu ti fai un’idea di fino a che punto vuoi che arrivi una certa interpretazione, per la bellezza che sottintende, per il messaggio positivo che può dare, e lì la mia paura è non essere all’altezza della grandezza di ciò che è l’arte in sé per sé. Però, è una paura salutare, secondo me, perché ti fa mettere sempre in discussione, è una paura che ti dà anche la voglia e il desiderio di superarla ogni volta ed entrare in gioco.


Invece qual è l’ultima cosa che hai imparato su te stessa grazie al tuo lavoro?
Sicuramente, ho imparato che anche quando sembra tutto troppo complesso, difficile, quando ti sembra che siano veramente altissime le possibilità di non riuscire, io devo provarci lo stesso, perché il futuro è imprevedibile. Pensando per esempio a questo spettacolo di teatro che ho scritto, che veramente mi entusiasma tanto e che qualche anno fa non avrei mai pensato di fare, è stata una grande liberazione, una bella esperienza. Insomma, ho imparato questo, la reticenza che mi dà la forza di provare a fare, provare a dire tutto ciò che voglio comunicare, perché provando, poi alla fine tutto prende forma. Ho imparato a non temere le difficoltà, perché poi quando le superi, il senso di soddisfazione è grande.
Qual è per te il panorama più bello del mondo?
Sicuramente un paesaggio collinare, di campagna. C’è un grande fascino per me nella campagna, nella natura, la pace che ti dà è incommensurabile, forse anche perché vivo immersa nelle città adesso. Sento un po’ la nostalgia di quella tranquillità e di quella quiete: in campagna, senti gli uccellini, vedi la bellezza del paesaggio, e non c’è niente di così grande.

“Perché provando, poi alla fine tutto prende forma”
Cosa ti fa sentire al sicuro e, dall’altro lato, cosa ti fa sentire sicura di te?
Forse la fortuna di avere delle belle persone accanto che mi sostengono. Quello mi dà tanta carica.
Invece, cos’è che rende ideale la tua giornata?
Innanzitutto, che ci sia il sole. Poi, le piccole cose belle che possono succedere in una giornata qualunque: la signora che per caso ti sorride, che non conosci neanche; quando senti di aver portato a termine qualcosa che per te era importante; mangiare qualcosa di buono. Quelle cosine che poi alla fine della giornata mi fanno pensare, “Che bella giornata, oggi”. Sempre se sei in grado di notarle, perché tante volte ti passano davanti ma non te ne accorgi, e arrivi a finire le giornate con un accumulo di nervosismo enorme.

Cosa significa per te sentirsi a proprio agio nella propria pelle?
Significa semplicemente stare dove sei senza essere costantemente preoccupato di dove dovresti essere, di cosa non dovresti essere preoccupato. Forse, significa veramente stare nel momento presente, dire “Io sono qua, vediamo che cosa mi arriva”. Quando non ti senti a tuo agio, è sempre perché cerchi di colmare le aspettative degli altri o di te stesso su di te costantemente, e non è affatto strumentale al raggiungimento di uno stato di benessere.
Ti faccio un’ultimissima domanda: qual è la tua isola felice?
Sicuramente, qualche contesto in cui c’è tanta natura, che sia il mare, che sia la montagna, che sia semplicemente un parco. La mia isola felice è un luogo in cui tutte le cose che devi fare, tutte le cose che non hai, non contano nulla, e invece ti godi la bellezza che ti circonda.
Stacchi un po’ la spina.

Photos by Johnny Carrano.
Makeup & Hair by Camilla Oldani.
Styling by Ilaria Di Gasparro.
Thanks to MPunto Comunicazione.
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