Ci sono storie che attendono dieci anni prima di essere raccontate, non per pudore, ma per trovare il momento giusto in cui la voce si fa più nitida e la distanza permette di guardare indietro senza filtri. “Finché nessuno muore” è una di queste: il racconto autobiografico scritto sotto pseudonimo di Vera Nevi, ex dominatrice professionista, che ha scelto di mettere nero su bianco un pezzo della sua vita vissuta nei primi anni Duemila a Milano.
In questa conversazione, Vera non indora la pillola: parla di potere e sottomissione, di uomini che dietro la facciata nascondono desideri inconfessabili, di una Milano che ha perso la sua anima diventando vetrina di ambizioni piccolo-borghesi. Ma soprattutto racconta come il controllo, quello che esercitava nelle sue sessioni da dominatrice, sia diventato scrittura, l’unico spazio dove davvero si può governare qualcosa: una storia, con le sue domande e le sue risposte. Tra nostalgia per un presente che teme di perdere e speranza per il futuro, Vera ci restituisce un ritratto sincero e disincantato di chi ha scelto di prendere sempre lo spazio che desiderava, con la giusta irriverenza e una profonda consapevolezza.
Innanzitutto, complimenti per il libro, ho amato “Finché nessuno muore”. È uno spiraglio sulla tua storia personale ed esperienza diretta, ma quando e come è nato in te il desiderio di metterlo per iscritto?
Mi ci sono voluti dieci anni prima di sedermi e iniziare a scrivere questa storia. Nonostante la conoscessi a memoria (ovviamente) e l’avessi raccontata in varie occasioni conviviali, a qualche cena per strappare un sorriso, non ero sicura di saperla scrivere. Poi ho concluso un percorso lavorativo che mi ha lasciato molto tempo libero e ho pensato che quella fosse l’occasione perfetta per provarci.
“I nomi per me non sono mai stati importanti, sono tutti uguali, siete tutti uguali e volete tutti la stessa cosa” è una delle prime frasi che si legge all’inizio: dopo tutte le esperienze vissute, pensi ancora questa cosa? O l’approccio verso l’individualità per così dire, verso gli altri, le singole persone con i loro mondi, interessi e modi di vivere, è cambiato? Pensando anche a quanto sia cambiata la società rispetto ai primi anni duemila.
Purtroppo, quella frase è sempre più vera a mio parere. Ancor più oggi che grazie ai social possiamo esprimerci in ogni nostra sfumatura regalandola al prossimo. Adoro romanticizzare le persone, gli accadimenti e tutto il resto, e ci riesco con successo per il tempo di un aperitivo al massimo, ma la verità è che siamo noiosamente tutti uguali. Solo poche persone mi stupiscono con qualcosa di realmente interessante da dire; infatti, ancora faccio molta fatica a ricordare i nomi. Non voglio sembrare severa nel dire questo, ma mi sono scelta il nome “Vera” ripromettendomi di usarlo a dovere, quindi non indorerò la pillola!

“Siamo noiosamente tutti uguali”.

Il tuo personaggio nel corso della storia si dimostra sempre estremamente consapevole di quello che vuole e della sua visione del mondo e dell’umanità, tant’è che ad un certo punto dice “Io so chi voi siete davvero”: come si struttura per te l’equilibrio tra piacere, potere, controllo, istinto, paura e illusione, tutte tematiche difficili ma che si ritrovano nei rapporti che hai avuto durante i tuoi incontri come Dominatrice?
Questa domanda è la domanda, se non il leit motiv su cui si basa l’intero libro. Non c’è modo di rispondere in poche righe, quello che posso dire è che nella mia esperienza, specialmente durante i miei incontri, per quella mezz’ora che passavo con i miei slaves queste dinamiche erano in perfetto equilibrio e non potevano né dovevano subire cambiamenti o scosse. Questo è uno dei motivi per cui mi piaceva il mondo della dominazione. Le regole erano scritte ed erano semplici. Nella vita reale invece le cose si complicano, a volte si complicano a tal punto che per venirne a capo bisogna scriverci un intero libro!
Se potessi tornare indietro nel tempo, a quando hai preso la decisione di intraprendere questa strada, prima forse addirittura di incontrare Ulisse, cosa diresti alla te di diciannove anni? Viste anche tutte le contraddizioni assolutamente umane che immagino una figura come quella della Dominatrice porti con sé.
Suggerirei alla me stessa di allora due cose diametralmente opposte. La prima di farlo con una quota ancora più alta di divertimento, di riderci sopra ancora di più. Questo consiglio forse potrebbe essere dispensato a qualsiasi post-adolescente del mondo che si approccia a qualsiasi professione. L’altro sarebbe di stare attenta. All’epoca ero superficiale e non pensavo affatto ai rischi di incontrare persone sconosciute, o meglio, ci pensavo e avevo i miei metodi per sentirmi al sicuro, ma la verità è che chiunque in qualsiasi momento avrebbe potuto rivelarsi pericoloso. Per fortuna a me è andata sempre egregiamente, ma riguardando indietro ammetto di aver preso questo aspetto troppo alla leggera.
Ad oggi invece, cosa ti aiuta ad avere il controllo sulla tua vita? E cosa invece, al contrario, lo fa vacillare?
Nessuno di noi ha il controllo sulla propria vita. Abbiamo però la libertà di poter scegliere cosa vogliamo fare ed essere in ogni momento, senza darci scuse.
E invece, a tutti quei perché che elenchi prima di introdurre il personaggio di Altea, “perché avevo deciso di fare quella vita, perché mi piaceva la sofferenza altrui, perché avevo deciso di smettere”, come risponderesti con la consapevolezza acquisita fino ad oggi?
Per non lasciare che la società o il perbenismo prendessero delle scelte al posto mio. Per esercitare il mio diritto di scegliere sempre, anche quando sembra tutto assurdo.

“La libertà di poter scegliere cosa vogliamo fare ed essere in ogni momento, senza darci scuse”.

Uomini di potere, desiderio di sottomissione: cosa vorresti dire alle donne, anche quelle che vorrebbero approcciarsi a questo libro, per guardare, finalmente, gli uomini o dallo stesso punto di vista o, addirittura, dall’alto?
Vorrei ricordare alle donne che gli uomini non si fanno troppi problemi a mostrare una vita di facciata. Senza scadere nel sessismo, semplicemente ricorderei a ognuno di prendere sempre lo spazio che desidera con irriverenza. Suggerirei anche di fare l’esercizio di immaginare il loro medico o il loro avvocato, o datore di lavoro a leccare suole mente la moglie è convinta che siano in palestra. Penso di aver detto tutto.
“Mi basta il presente. Il qui”: vivi ancora seguendo questo mantra?
Si, assolutamente. Mi sento una persona molto fortunata, tanto che a tratti ho paura che il futuro possa non essere roseo come è il presente! Adoro vivere qui e adesso. Il mio momento preferito del giorno è la mattina. Ogni notte quando vado a letto penso che non vedo l’ora che sia domani!
E la città di Milano invece, protagonista silenziosa del sottofondo di questa storia, ti sorprende ancora in qualche modo?
Milano mi sorprende eccome! In negativo. È diventata una noiosissima città di studenti fuori sede con l’illusione un giorno di diventare consulenti o peggio di consulenti “arrivati”. Troppe persone sognano come arricchirsi in questa città, come arrivare “da qualche parte”, che poi, quale parte? Tutto questo concentrarsi su sé stessi e sul consumo fa sì che l’anima di Milano si dissipi per lasciare spazio al solo commercio, alla speculazione. Le attività culturali che vengono proposte ai cittadini sono troppo poche. Se decidessi di visitare tutte le mostre proposte nel mese di ottobre in un giorno e mezzo avrei già visto tutto. Io confido però nei giovanissimi. Laddove la mia generazione ha fallito e si è trovata nelle grinfie di una città che deve rincorrere solo i sogni piccolo borghesi, auspico ve n’è sia una nuova in grado di instillare energia a supporto del sociale, alla musica, alle arti.
Qual è l’ultima cosa che hai scoperto di te stessa grazie anche al lavoro di autrice magari?
Che mi piace imparare. La prima stesura del mio romanzo è stata editata da Fausto Vitaliano, scrittore eccellente e soprattutto mentore. Lui mi ha insegnato tutto di come “gira” una storia. Come rispondere alle domande di un lettore prima ancora che emergano, per esempio, e mille altre cose non solo sulla scrittura. Grazie a lui ho scoperto che forse non posso controllare la vita, ma posso controllare una storia. Forse gli autori sono la versione “quieta” dei dominatori? Secondo me un po’ si! Io in questo parallelismo mi ci ritrovo. Così una volta finito “Finché Nessuno Muore” mi sono messa a scrivere un altro romanzo, che spero di finire entro l’estate.

Cosa significa per te sentirti a tuo agio nella tua pelle?
Significa giocare un terno all’otto! È davvero difficile trovare qualcosa che ci faccia sentire a nostro agio nella nostra pelle, costantemente, o almeno lo è per me. Non avendo la risposta a questa domanda, io di solito mi concentro più sul fatto che oggi mi sento in un modo e domani mi sentirò diversamente e che va bene così!
Il libro/i libri sul tuo comodino in questo momento.
Ne inizio almeno cinque insieme! Questa è la pila di questi ultimi due mesi: Middlesex di Jeffrey Eugenides, una saga familiare che mi ha commosso fino alle lacrime durante la lettura delle prime tre pagine di apertura, per come è scritto. Semplicemente è scritto troppo bene, ineguagliabile. Poi c’è Fight Club (unico libro che non ho ancora letto di Palahniuk) che ho appena iniziato e cerco comunque di farlo “durare” il più possibile, leggendone pochissimo alla volta! Tengo costantemente accanto al cuscino due libri di poesie: Crush, di Richard Siken, la cui intensità e lasciva debolezza sono costantemente di ispirazione. L’altro libro, sempre di poesie che non si muove dal mio comodino è quello di Leonard Cohen, anche se trovo le sue canzoni più interessanti delle poesie raccolte nel libro, mi piace ogni tanto girarmi, vederne la copertina e pensare alla profondità della sua musica.
Quel è la tua isola felice?
Un bel film horror prima di dormire.
Cover photo & photo with the hat by Alessia Colombo
Cover designer: Raissa Pardini
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