Ci sono vite che non seguono un piano, ma un’intuizione. Che cambiano direzione all’improvviso, con il coraggio un po’ folle di chi sa che non si può essere davvero felici se si rinuncia a ciò che fa brillare gli occhi. Megi Bulla, per tanti @labibliotecadidaphne, ha seguito la voce silenziosa dei libri quando tutto il resto le diceva di restare nella corsia giusta, quella più sicura. Ha lasciato un lavoro in uno studio di ingegneria, ha aperto un profilo social quasi per gioco, senza mostrarsi, con pudore e timidezza. Poi, quel gioco è diventato casa. Una casa piena di lettori, di emozioni condivise, di storie che si incrociano.
Oggi è molto più di una content creator: è una curatrice editoriale, una scrittrice, una narratrice di mondi reali e fantastici, una donna che ha costruito, libro dopo libro, un nuovo modo di raccontarsi, e di far sentire meno soli gli altri. La sua voce, vera, imperfetta, umana, è diventata un punto di riferimento in un’epoca in cui si mostrano solo superfici lucide. Lei invece si mostra così com’è: spettinata, stanca, felice, in pigiama, con la casa in disordine e il cuore pieno di parole da condividere. In questa conversazione, ci ha parlato del passato che l’ha formata, del presente che la sorprende, e del futuro che sogna con gli occhi di una bambina cresciuta tra stanze abbandonate e immaginazione. Una donna che, con ogni libro letto e consigliato, ha imparato una verità semplice e potente: bastarsi. E allo stesso tempo appartenere.
Vista la cornice in cui ci troviamo, la prima domanda non può che essere legata al Salto: quali aspettative hai, come ti senti?
Le aspettative sono sempre difficili da immaginare e prevedere. Io cerco di rimanere con i piedi per terra e dirmi: “Oddio, chissà se poi andrà bene, chissà se venderanno bene i libri con cui mi sono presentata, se la community sarà contenta di vedermi…”. L’aspettativa è di uscirne con una grande nostalgia: questo a prescindere da ogni SalTo, perché effettivamente, per quanto io sia esausta mentre sono qua, il piantino quando me ne vado è obbligatorio. Se c’è quindi un’unica certezza che posso aspettarmi è il sentire la nostalgia del Salone appena finirà.
Se invece da questo momento ti guardi indietro e pensi al passato, alla Megi che ha cambiato strada da ingegneria per dedicarsi completamente al mondo della lettura, cosa pensi sul percorso fatto e su come sei cambiata nel tempo?
Tu vuoi farmi piangere (ride). Comunque, è stato caotico, imprevedibile, a tratti onirico in qualche maniera. Non avrei mai potuto prevederlo: io facevo un altro lavoro in uno studio ingegneristico quando ho aperto il profilo social, e tra l’altro all’inizio stavo attenta a non mostrare il mio viso, per paura che chiunque mi conoscesse potesse vedermi. Ed è stato poi tutto così imprevisto, tra l’altro ad un certo punto avevo cancellato l’applicazione perché mi ero detta: “Hai 26 anni e sei qui a fare i video su TikTok come i ragazzetti”, quindi l’ho cancellata. Due mesi dopo però mi mancava registrare video, non perché dovevo arrivare a qualcuno, ma perché mi faceva stare bene, perché in quel momento condividevo i miei libri. È stato mio marito a dirmi: “Ma che te ne frega, riscarica questa applicazione”. L’ho riscaricata e 6 mesi dopo eravamo in 100.000, è stato un viaggio meraviglioso. Ti devo dire la verità, se qualcuno mi avesse detto al tempo: “Guarda che arriverai ad avere la tua collana editoriale, sarai in libreria”, non ci avrei mai creduto. Anzi, quando mio marito mi disse: “Ma ti immagini se arrivi a 1000 followers e poi riesci a collaborare con qualche casa editrice?”, gli risposi: “Non rovinarmi questa cosa con le tue aspettative” (ride).


Come vivi oggi il rapporto con la tua community, visto che è una delle più grandi per appassionati di lettura d’Italia?
In modo estremamente informale: mi dicono sempre che ricordo la vicina della porta accanto, la ragazza che potresti incontrare in fila alle casse, e per me è il commento più bello del mondo. Perché mi mostro struccata, in pigiama, con la casa in disordine e credo che questa sia stata la chiave all’inizio, in un momento in cui sui social si vedevano esclusivamente vetrine di vite perfette. La mia non lo è assolutamente, forse lo è un pochino di più rispetto a come lo era qualche anno fa, ed è anche grazie alla community. Questo è un rapporto in cui quando mi vedono mi fanno: “Meg, sai cosa ho comprato?”, perché ormai noi siamo abituati a chiacchierare così, su Instagram e quant’altro, quindi è un rapporto estremamente informale, non c’è una gerarchia, io sono semplicemente una portavoce che unisce loro. Poi hanno molti gruppi di Telegram in cui si incontrano tra loro, sono indipendenti, fanno quello che vogliono (ride).
Ci si vuole un gran bene, noi continuiamo a farci a vicenda un gran bene e mi sento di appartenere a loro esattamente come loro si sentono di appartenere a me.
La tua passione per la lettura si è evoluta grazie al mondo dei social? Si è ampliata, è cambiata in qualche modo?
Certo, un tempo leggevo esclusivamente fantasy ed è stato il confronto con loro a permettermi di avvicinarmi al genere romance, che prima proprio non leggevo. Poi mi sono avvicinata anche ai classici e soprattutto alla narrativa, che per me è sempre stato un genere lontano.
Parlando invece della collana che curi per Rizzoli, la tua “Biblioteca di Daphne”: come sta andando questo percorso? Come organizzi il processo che va dalla selezione di un titolo estero per portarlo in Italia, alla copertina fino poi alla pubblicazione?
Il lavoro si basa sulla coordinazione di più team; quindi, ci sono dei team per ogni voce ed io mi interfaccio con i vari rappresentanti. Ogni volta che ci incontriamo, cerco di capire insieme ad ognuno di loro a che punto siamo, cosa possiamo fare, e con ognuno di loro ho un rapporto diverso. Con qualcuno mi sento all’inizio, con qualcuno alla fine, qualcuno lo sento addirittura quando è già uscito il libro, come il marketing. È un rapporto estremamente dinamico: il tutto parte da una segnalazione; io segnalo un titolo, questo titolo passa al reparto diritti, che si preoccupa di capire se è disponibile, se si può acquistare e una volta che mi viene detto che è acquistabile, va in lettura ad un team di lettori. Quando la loro recensione è positiva o media, io leggo la scheda, e laddove mi intriga e mi interessa, vado a leggerlo io. Di media leggo tre, quattro manoscritti al colpo: una volta che decido che un titolo mi piace, facciamo l’offerta e cerchiamo di portarcelo a casa. Alle volte c’è un’asta con le altre case editoriali, ma una volta che è nostro, quel titolo per me è a casa. Ogni libro è un po’ figlio mio in qualche maniera.
Quando poi è a casa, ci si domanda: cosa vogliamo fare, a chi vogliamo affidare la traduzione? Poi la capo redattrice contatta i nomi dei traduttori per capire se sono disponibili, mentre io in contemporanea vado dal reparto grafico cercando di capire cosa fare, se tenere l’edizione inglese o se fare qualcosa di diverso. Se facciamo qualcosa di diverso, cosa e a quale illustratore affidarci… Il lavoro è tanto (ride). Quando arriva il testo in italiano, lo rileggo e lo revisiono, non perché io abbia particolari competenze a riguardo, ma perché propongo libri che in primis leggerei. E quindi do un’ultima letta dal punto di vista di un lettore che ama il genere: ci sono delle frasi che a livello grammaticale sono perfette in italiano, ma che di fatto il lettore italiano le vorrebbe rese in modo un pochino diverso. Per esempio, in “Glow of the everflame”, lui dice a lei: “Make me” e la traduttrice ha scelto: “Perché non mi convinci?”, il che è giusto, ma il lettore italiano che ama il genere vuole il “Costringimi”, che ti fa fare quell’urletto (ride). Questo è il mio lavoro, rendere un testo completo adatto per il lettore che ama quel genere.
Non smetterò mai di dirlo, lavoro con un team che è la mia gioia più grande, perché ho a che fare con persone che supportano quello che propongo. Ad esempio “Ai confini del fiume Stige” è un libro che parla di lutto, ma lo fa per i ragazzi: non è un libro semplice da portare in Italia, ma loro mi hanno detto: “Ci crediamo”, è l’esordio di un’autrice che non ha fatto nessun tipo di comunicazione all’estero. Quindi ce la siamo giocata. “Out on a limb. Un amore in bilico” invece è un romance che prevede una pregnancy trope, dove la protagonista rimane incinta subito, che è una cosa che la maggior parte dei lettori di romance odiano, ed entrambi i protagonisti hanno una disabilità: è un libro che è stato amato follemente. Quindi posso contare su un team che, anche quando ho delle idee un po’ folli, mi dice: “Ci proviamo”. Non mi hanno mai detto no, mi hanno sempre detto: “Ci proviamo”, e alla fine ci siamo sempre riusciti.


“Questo è il mio lavoro, rendere un testo completo adatto per il lettore che ama quel genere”.

Curatrice di una collana, responsabile di live di discussione sulla lettura, content creator, moderatrice e anche autrice pensando a “Milena – Insegnami La Felicità”: e nel futuro, cos’altro vedi? Qualche altro sogno?
Questo autunno esce il mio secondo libro, quindi per adesso il mio sogno è che tutto vada come deve andare, nonostante sia un testo molto diverso da “Milena”, ha un target più grande e parla di me, della mia infanzia: io cresco in un hotel abbandonato, e questa cosa mi ha ispirato nello scrivere questa avventura, che è molto biografica di per sé; chiaramente è romanzato e c’è l’elemento magico, ma tutto quello che c’è, dai protagonisti ai luoghi, è vero. È la storia di me e del mio vicino di casa che passavamo pomeriggi a giocare nelle stanze abbandonate di questo hotel: io e la mia famiglia abbiamo origini molto umili e abbiamo vissuto in questo grandissimo hotel abbandonato dove la stanza riscaldata era una sola, quindi stavamo tutti lì, mentre le altre stanze erano vuote. Io e il mio vicino di casa andavamo in queste stanze e facevamo finta di essere i signori; in questo nuovo libro, Matilde e Jago (che è un drago), entreranno in queste porte e anziché trovare delle stanze vuote, troveranno dei mondi diversi.
Personalmente, i libri sono anche un aiuto quando si parla di salute mentale. Emotivamente, che cosa rappresenta per te la lettura?
Senza la lettura, non sarei neanche la metà della persona che sono. La mia empatia è nata tra le pagine di un libro ed è difficile spiegarlo, ma la lettura è ciò che mi rende chi sono.
Il fantasy e poi il romantasy sono anche i miei generi preferiti quindi non possono non chiederti quale sia il tuo titolo/saga di questo genere preferito.
Consiglio “L’Attraversaspecchi”. Credo sia una delle tetralogie migliori dell’ultimo decennio.


“Senza la lettura, non sarei neanche la metà della persona che sono”.

Qual è o quali sono i tuoi libri sul comodino in questo momento.
Manoscritti (ride).
Che cosa significa per te sentirti a tuo agio nella tua pelle.
È un processo che nasce dopo tanti anni di messa in discussione e di punti di domanda: vado bene? Sono abbastanza? Posso fare di più? Se faccio di più, rischio di peccare di arroganza con me stessa e con gli altri? E credo che la soluzione sia quella di circondarti di persone che ti spronano a credere in te stessa e per me questa persona è mio marito. Quindi per me essere a mio agio con me stessa è un mettersi costantemente in discussione, contando che se si cade, c’è qualcuno che può sorreggerti.
Qual è l’ultima cosa che hai scoperto di te stessa grazie anche al tuo lavoro.
Che mi basto.
La tua isola felice.
Le mie montagne: vivo in Trentino da quando ho ricordo e quando lascio le mie montagne per troppo tempo, mi manca l’aria.

Photos by Luca Ortolani.
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