Fionn O’Shea non interpreta i personaggi: li disseziona. C’è una precisione quasi chirurgica nel modo in cui parla del suo lavoro, un equilibrio tra istinto e analisi silenziosa che rende le sue interpretazioni difficili da dimenticare.
In House of Guinness, la coraggiosa rilettura firmata Stephen Knight di una delle famiglie più celebri d’Irlanda, Fionn veste i panni di Ben Guinness – un uomo nato nel privilegio, schiacciato dalle aspettative e in cerca di qualcosa che abbia ancora un sapore autentico.
Quando ci parliamo, è riflessivo ma spontaneo, intreccia ricordi, film e frammenti di sé che finiscono nei suoi personaggi. Discutiamo di speranza nell’oscurità, della disciplina dell’isolamento e di come, a volte, le cose più inaspettate – una frase letta in un libro, un’interpretazione che non riesci a dimenticare – possano sbloccare completamente un personaggio.
La nostra conversazione oscilla tra passato e presente, arte e identità, e la bellezza silenziosa del tentativo di restare umani in mezzo a tutto questo.
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
Il primo film che ricordo di aver visto è Walk the Line. Ero decisamente troppo piccolo, ma mi colpì tantissimo, soprattutto la scena in cui Johnny Cash è bambino, con il fratello, e accade quel terribile incidente.
Ricordo anche che mio padre rimase colpito – probabilmente perché si rese conto, scioccato, del film a cui aveva portato suo figlio [ride].


Beh, secondo me è uno dei migliori biopic musicali mai realizzati.
Sì, penso che Joaquin Phoenix sia semplicemente perfetto in quel ruolo – e lo stesso vale per Reese Witherspoon. È il mio primo ricordo cinematografico, ma anche un film che continuo a rivedere spesso.
In realtà, ho trovato qualcosa nella performance di Joaquin che mi è stato utile per Ben: le parti più oscure di Johnny Cash e, allo stesso tempo, quella scintilla di speranza che resiste dentro di lui.
Nella serie, Stephen Knight ha scritto una battuta bellissima su qualcuno “ancora innamorato di lui o di ciò che ne resta”: per me era essenziale preservare quella speranza.
Anche nei momenti più bui del suo Johnny Cash, c’è sempre qualcosa di intrinsecamente affascinante.
Spesso traggo ispirazione da cose che non hanno alcun legame diretto con ciò su cui sto lavorando. A volte basta semplicemente sentirsi ispirati. Credo che la natura umana conti più della trama stessa.

“Spesso traggo ispirazione da cose che non hanno alcun legame diretto con ciò su cui sto lavorando.”

Quindi hai trovato ispirazione altrove, fuori dal mondo di House of Guinness.
Sì, perché ogni volta che resto davvero colpito da un’opera – di qualunque tipo – ne esco esaltato all’idea di essere un artista e di far parte di questo mestiere.
Succede spesso: vedo un film che amo e penso “che fortuna poter fare questo lavoro” – e subito mi viene voglia di crearne altri.


Quando hai letto per la prima volta la sceneggiatura, cos’è stato ad attirarti in Ben: i suoi demoni, le relazioni, il conflitto interiore?
Quel personaggio mi ha colpito profondamente. Sai, a volte leggi una parte e capisci subito chi è quella persona. Con Ben no. Non l’ho capito subito, ma ho sentito il bisogno di scoprirlo.
Stephen scrive personaggi brillanti, ma ti mette alla prova come non ti era mai successo. Con Ben ho sentito di poter esplorare un territorio nuovo, di spingermi oltre. Una cosa interessante è che Ben ha una sensibilità molto contemporanea: è rapido nel dire ciò che sente, non aderisce alle convenzioni sociali del tempo. Mi affascinava. Non riuscivo a smettere di pensare a lui.
All’inizio avevo solo un copione, e pur capendo le sue scelte, non ero ancora “dentro la sua testa”. È stata una sfida che ho accolto con entusiasmo.



A un certo punto Ben dice di sentirsi come un fantasma nella propria casa. Come ti sei preparato emotivamente per incarnare quella sensazione?
Qualche mese prima di sapere che avrei fatto la serie avevo letto Wild Houses di Colin Barrett, e c’era un passaggio che mi era rimasto impresso. Quando ho iniziato House of Guinness, ci sono tornato su e ho capito che riassumeva perfettamente Ben.
La preparazione è passata attraverso riletture continue, conversazioni con i registi Tom Shankland e Munya Akl, ma anche molto tempo in solitudine, scrivendo e riflettendo.
Credo che la cosa più devastante per Ben sia il fatto che i suoi pensieri restano non detti, si accumulano e lo consumano.
Parte del mio lavoro è stato proprio stare solo con i miei pensieri, ma in modo più sano del suo.
Già, può essere pericoloso.
Esatto. È fondamentale mantenere un equilibrio sano tra vita e lavoro.

“Credo che la cosa più devastante per Ben sia il fatto che i suoi pensieri restano non detti, si accumulano e lo consumano.”

I period drama sono difficili da ancorare alla realtà. Come avete fatto a renderlo autentico?
Sì, a volte i period drama possono risultare ingessati. Questo invece – come tutti i lavori di Stephen – è frizzante, vitale, pieno di energia.
Abbiamo seguito lezioni di etichetta d’epoca, ma l’obiettivo per i Guinness era imparare e poi dimenticare. Volevamo mostrare giovani che si muovono con naturalezza nel lusso: è il loro mondo. Ci sono period drama meravigliosi molto formali, ma è bello mostrare anche l’altro lato.


Ma non avete girato in Irlanda, giusto?
No, abbiamo girato a Manchester e Liverpool. Manchester ha fatto da controfigura a New York – alcune strade sono identiche. Netflix aveva considerato Dublino, ma logisticamente era impossibile.

Questi luoghi hanno influenzato la tua interpretazione?
Richard Bullock, il production designer, ha creato set incredibili, che sembravano vissuti.
Lo stesso vale per costumi, trucco e acconciature. In particolare Iveagh House, la casa dei Guinness, era un set reale, attraversabile da stanza a stanza. Ci siamo sentiti subito a casa. Ogni minimo dettaglio era curato, anche quelli che lo spettatore non vedrà mai – e questo rende tutto più facile per noi attori.

“In particolare, Iveagh House, la casa dei Guinness, era un set reale, attraversabile da stanza a stanza.”

Che tipo di dettagli?
Anche solo piccoli oggetti personali, documenti o foto di scena nascosti sullo sfondo.
Ogni cosa era perfetta. Arrivare sul set e vederlo prendere forma è stato mozzafiato.


Nella serie Ben ottiene tutto ciò che voleva, ma niente cambia davvero. Cosa significa per lui quel momento?
È il suo punto più spaventoso. Ottiene tutto ciò che pensava lo avrebbe reso felice, ma nulla cambia. È costretto a guardarsi dentro.
E per la sua famiglia diventa un problema, perché ora ha qualcosa da perdere. Ha ferito molte persone, è stato distruttivo, e ora non soffre solo lui – ha una moglie, un figlio, una carriera. Proprio per questo, è nel suo momento più pericoloso.

Da irlandese, come è cambiata la tua percezione della famiglia Guinness?
Crescendo in Irlanda conoscevo il marchio, ma non la storia familiare.
Non puoi fare due passi senza vedere un’insegna Guinness [ride].
Immaginavo fosse una semplice famiglia di birrai, ma ho scoperto un rapporto molto più complesso con l’Irlanda e la propria identità.
Oggi vedo Guinness come un simbolo dell’irlandesità, ma separato dalla famiglia, che non lo possiede più.
Il marchio e la famiglia hanno lasciato eredità diverse: i Guinness hanno inciso nella storia sociale irlandese – mio bisnonno, per esempio, ricevette una pensione grazie a loro, lavorava nel birrificio. Quindi ora mi sento più consapevole e più informato.

“Il marchio e la famiglia hanno lasciato eredità diverse: i Guinness hanno inciso nella storia sociale irlandese – mio bisnonno, per esempio, ricevette una pensione grazie a loro, lavorava nel birrificio.”

Parliamo di costumi: ce n’è uno che avresti voluto portarti a casa?
Tantissimi! Edward Gibbon, il costumista, è straordinario.
Se dovessi sceglierne uno, direi il cappotto di Ben. Ma anche un gilet con piccoli fiori che amavo.
I suoi costumi sono quasi rock’n’roll, proprio come la colonna sonora.
Se dovessi descrivere la serie con una sola parola?
Oh Dio… direi spavalda.


Ti ha fatto scoprire qualcosa di nuovo su Dublino o su te stesso?
Sì. Questo progetto ha cambiato il mio rapporto con la città. Ora ne apprezzo di più la storia e l’impatto che la famiglia Guinness ha avuto su Dublino e sull’Irlanda.
Ho passato una giornata agli archivi fotografici nazionali, guardando foto del matrimonio di Ben, poi ho camminato per i luoghi che lui frequentava. Ti rendi conto di quanto diamo per scontato i luoghi in cui cresciamo.
E credo che l’effetto più grande su di me sia stato imparare a essere più gentile con me stesso. Penso che dovremmo tutti esserlo. Ben ne avrebbe avuto tanto bisogno.
E hai imparato davvero quanto questo conti.
Assolutamente. Era fondamentale per non farmi risucchiare dal suo abisso.


Cosa significa per te sentirti a tuo agio nella tua pelle?
Una delle cose più dolorose per Ben è non sentirsi visto. Io, invece, mi sento fortunato ad avere amici e famiglia che mi vedono e mi sostengono. Vorrei che anche lui l’avesse avuto, perché è ciò che ti fa davvero stare bene.
Il tuo più grande atto di ribellione?
Ero un adolescente tranquillo [ride], quindi non molti. Forse scegliere di fare l’attore è stato il mio modo di ribellarmi. Lasciare l’università per seguire questa strada è stato il mio salto nel vuoto.


L’ultimo film o serie che ti ha colpito?
The Studio – davvero bellissimo.
E poi Friendship, il film di Tim Robinson, e True Romance.


Se potessi scegliere cosa vedere fuori dalla tua finestra, cosa vorresti?
Bella domanda. In questo momento, letteralmente, solo impalcature e operai [ride]. Ma se potessi scegliere, direi uno spazio verde.
Mi sono reso conto di quanto fosse importante solo dopo aver lasciato l’Irlanda.
Sono cresciuto vicino al mare e ai parchi, e quando ho iniziato a viaggiare mi sono accorto di quanto mi mancassero. Quindi direi: oceano e verde.


E qual è la tua isola felice?
Ovunque ci siano le persone che amo.
Non credo che un luogo fisico mi renda felice quanto le persone che ho accanto. Da bambino passavo le estati in un piccolo campeggio in Irlanda, e quel posto avrà sempre un posto speciale nel mio cuore. Ma, davvero, la mia felicità è ovunque siano loro.

Photos & Video by Johnny Carrano.
Grooming by Bready Lea.
Styling by Prue Fisher.
Thanks to Track Publicity.
What do you think?