Mi capita spesso di intrappolarmi in conversazioni – che immancabilmente sfociano in discussioni – sul valore di un film, di una serie TV o di un libro cosiddetti “popolari”. Da sostenitrice della necessità di abrogare la sfumatura svalutante che l’aggettivo “pop/popolare” (lett. del popolo, ergo fruito da una quantità di persone qualificabile come “grande pubblico”) ha assunto negli ultimi anni, nel sopraccitato tipo di conversazioni, io sono spesso il bastian contrario. Io sono quella con l’opinione diversa dalla maggioranza: in modi più o meno fantasiosi, sono stata definita da “noiosa” a “troppo intellettuale” a, al contrario, una a cui “non può che piacere ‘Beautiful’”. Cosa si direbbe, mi chiedo a questo punto, data l’urgenza che abbiamo di dire sempre qualcosa, delle parole che sto per sviolinare a proposito del cinema nordico?
Al di là delle categorie, dei Paesi, dei pregiudizi e delle mode, quello che banalmente sento nella pancia è una forte attrazione magnetica per le storie che mi fanno pensare, che mi insegnano qualcosa, che mi fanno aspirare a più di quello che nella quotidianità mi convinco di poter ottenere.
Tornando al cinema nordico: Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia, sarà il freddo balordo che schiarisce la mente e ti fa vedere tutto più chiaro, ma lì le storie le sanno raccontare con un’eleganza, delicatezza e cura che non si trovano in molti altri scenari. Ogni immagine è candida e felpata come la neve, ogni dialogo pesato minuziosamente perché non ci siano parole di troppo o fuori posto, i personaggi sono profondi e rotti con crepe riempite d’oro come col Kintsugi, le vicende si susseguono con un ritmo lento e, per questo, curate nei loro dettagli perché risultino comprensibili e riconoscibili.
Regalo le mie ultime scoperte, tra vincitori di Oscar, premiati ai Festival di Cannes e popolarissime produzioni Netflix, nella speranza di smentire la diffusa credenza che niche=posh.
Sentimental Value – Norway

Una di quelle pellicole in cui ci si riconosce e ci si perde allo stesso tempo: “Sentimental Value” non è un film facile o banale, ma è uno di quelli che restano dentro. Joachim Trier – maestro nel sondare l’animo umano – costruisce un dramma familiare che parla di trauma, memoria, perdono e del rapporto complicato tra arte e vita reale, con una delicatezza che a tratti ricorda il cinema di Ingmar Bergman, ma con un cuore più caldo e contemporaneo.
The Square – Svezia

Una satira tagliente sull’arte contemporanea, vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes 2017. Con uno stile freddo e chirurgico, il film smonta le buone intenzioni della borghesia colta, mostrando quanto siano fragili quando vengono messe davvero alla prova. Östlund alterna momenti di umorismo nerissimo a scene di puro disagio, spingendo lo spettatore a ridere e subito dopo a sentirsi complice di ciò che sta osservando. L’opera-installazione che dà il titolo al film diventa il simbolo perfetto di un’etica proclamata ma raramente praticata. Provocatorio, irregolare e volutamente scomodo, “The Square” non cerca di piacere: preferisce mettere a nudo, con intelligenza crudele, le nostre contraddizioni.
The Girl with the Needle – Danimarca

Un film disturbante e magnetico, che ti prende piano e poi non ti molla più. Magnus von Horn costruisce un racconto cupissimo, quasi ipnotico, dove il bianco e nero non è solo una scelta estetica ma una vera dichiarazione emotiva. La maternità, la povertà e il controllo sui corpi femminili diventano materia viva, raccontata senza compiacimenti e con lucidità. Le interpretazioni sono straordinarie, soprattutto nel modo in cui rendono l’ambiguità morale dei personaggi. È un film che non cerca adulazioni, ma animi da incidere – e ci riesce, lasciando addosso un’inquietudine sottile e persistente.
Persona – Svezia

Il film di Ingmar Bergman è un capolavoro che ti entra sottopelle e non ti lascia più. La storia esplora l’identità, la maschera sociale e il rapporto quasi ossessivo tra due donne: Elisabet, un’attrice che smette improvvisamente di parlare, e Alma, l’infermiera incaricata di accudirla. Bergman gioca con lo specchio dell’anima, con primi piani intensissimi e silenzi che pesano più di mille parole, mettendo lo spettatore davanti a una verità spietata e ambigua. È disturbante e ipnotico allo stesso tempo, un viaggio psicologico dove realtà e finzione si confondono, lasciandoti con più domande che risposte.
Sick of Myself – Norvegia

Una dark comedy corrosiva, assurda, attualissima sul narcisismo social. Kristoffer Borgli racconta una relazione tossica e competitiva che trasforma il bisogno di attenzione in una vera e propria patologia sociale. La protagonista, interpretata in modo disturbante e affascinante, è insieme vittima e carnefice di un sistema che premia l’esibizione del dolore. Il risultato è un film che fa ridere, ma di una risata che resta un po’ incastrata in gola, perché ci riguarda molto più di quanto vorremmo ammettere. Provocatorio, fastidioso e, al contempo, intelligente, è uno di quei titoli che ti seguono anche dopo i titoli di coda.
Love & Anarchy – Svezia

Una serie tv che gioca con i confini tra desiderio, convenzioni sociali e trasgressione, con un equilibrio intrigante tra romanticismo e tensione provocatoria. La storia ruota attorno a Sophie, una consulente di management che cerca di ravvivare la sua vita ordinata, e Max, un giovane consulente creativo con cui avvia un gioco audace fatto di sfide sempre più rischiose. La forza della serie sta nel suo ritmo vivace, nei dialoghi frizzanti e in una chimica palpabile tra i protagonisti, che trasforma ogni sfida in un piccolo atto di ribellione emotiva. Il tutto condito da un umorismo sottile e da scene di una sensualità mai banale.
Another Round (Druk) – Danimarca

Film premio Oscar, irresistibile e amaro. Un gruppo di professori sperimenta la “teoria del tasso alcolico costante”: Vinterberg parte da un’idea brillante e un po’ folle per raccontare qualcosa di molto più profondo, ovvero la paura di invecchiare, il desiderio di sentirsi vivi, il confine sottile tra libertà e autodistruzione. Mads Mikkelsen è magnetico, capace di passare dal controllo alla vertigine con una naturalezza disarmante. Si ride, ci si riconosce, poi all’improvviso arriva il nodo alla gola. Un film lucidissimo e malinconico, che non giudica mai e, proprio per questo, lascia il segno.
Fallen Leaves – Svezia

Il film di Aki Kaurismäki è un delicato ritratto di solitudine e desiderio di connessione. Ambientata in un grigio e malinconico paesaggio urbano, la storia racconta la nascita lenta e discreta di un legame tra due anime solitarie. La poetica minimalista di Kaurismäki, fatta di dialoghi scarni, silenzi carichi di significato e piccole gestualità quotidiane, trasforma la routine in poesia. È un film che sussurra più che urla, e lascia un retrogusto dolceamaro, capace di scaldare senza sentimentalismi. Una vera lezione su come la tenerezza possa emergere anche nelle giornate più grigie.


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