“Mix Tape” non è una storia d’amore.
È una storia di ritrovi, verità, crescita, e nostalgia. Ma sì, anche un po’ d’amore, in tutte le direzioni che può prendere: verso gli altri, sé stessi, la casa, la libertà, il silenzio, la musica. “Mix Tape” è anche, ovviamente, una storia di musica, dei B-side degli anni ’80 nell’Inghilterra del nord, e tutti i ricordi e le emozioni che possono rievocare in chi vive nel presente.
Di come la musica funga da memoria, lezione, mezzo di comunicazione, soprattutto quando le parole non si trovano o non bastano, ho chiacchierato a lungo con Jim Sturgess, la nostra Cover di agosto. In “Mix Tape”, Jim è la versione adulta di Daniel, alle prese con il ritorno del passato a scombussolare, per poi ricalibrare la sua vita. Gli Stone Roses, i Velvet Underground, gli Arctic Monkeys, i Joy Division, i The Cure, Nick Drake, tratteggiano un percorso di perdita e riconquista, dando il giusto sapore agli eventi e scavando i personaggi da dentro, per portare fuori fatti vivi e veri per tutti noi.
Tra “Across the Universe”, “Mix Tape”, “The Stolen Girl” e il suo progetto musicale con lo pseudonimo di “King Curious”, Jim ha ricostruito alcuni tra gli eventi e i pensieri più significativi della sua carriera da attore e musicista, e della sua esistenza da marito e padre, col sottofondo di canzoni speciali che hanno fatto la (sua) storia.
Qual è il tuo primo ricordo legato al cinema?
Bella domanda. La prima volta che sono andato al cinema è stato per il compleanno di mio fratello maggiore. Mio padre ci portò lui e alcuni suoi amici, e io fui in qualche modo costretto ad unirmi a loro perché ero “il fratello minore” [ride]. Il film che guardammo mi pare fosse “BMX Bandits”, puro cinema anni ’80, su un gruppo di ragazzi che giravano in BMX. C’è Nicole Kidman nel cast.
La prima volta che sono andato al cinema di mia spontanea volontà, perché volevo vedere il film, ho guardato “Ghostbusters”. È uno dei miei film preferiti in assoluto.
È anche uno dei miei preferiti!
Ecco, ricordo che quel film mi assorbì completamente. E ricordo che la prima volta che andai a New York, dove ti senti come in un gigantesco set cinematografico, avevo tutte queste immagini, ricordi e punti di riferimento dei film con cui ero cresciuto; mentre giravo per le strade della città, davanti alla biblioteca che c’è in “Ghostbusters”, ricordo di aver perso la testa.

Parlando di “Mix Tape”: mi è piaciuta molto la struttura su due linee temporali della serie, vedere i molti modi in cui il passato può influenzare il presente, anche se immagino che flashback e flashforward possAno essere difficili da seguire. Come hai assicurato la coerenza e l’autenticità tra il giovane Daniel e il tuo Daniel del presente?
Credo che il casting sia stato fondamentale. Era importante assicurarsi che ci fosse una continuità tra le due coppie, io e Teresa [Palmer] e Rory [Walton-Smith] e Florence [Hunt]. E questo è stato davvero merito della grande specificità nella scelta del cast. So che il processo di casting è stato lungo e complesso: il regista lo ha descritto come un “cercare unicorni”, perché bisognava trovare persone che non solo avessero un aspetto e un’energia simili, ma che sapessero anche parlare con l’accento di Sheffield, che non è un accento facile da imitare.
Florence è piuttosto conosciuta qui nel Regno Unito, è tra i protagonisti di una serie chiamata “Bridgerton”, quindi quando è entrata nel team, tutto ha avuto un senso; ma Rory non aveva mai fatto nulla in vita sua, questa è la primissima cosa che abbia mai fatto. La regista, Lucy [Gaffy], che è una delle persone più collaborative con cui abbia avuto a che fare, per me è una vera amica e si preoccupa davvero di tutte le persone che le stanno intorno, è stata così gentile da coinvolgermi nel processo di audizione per Daniel e lasciarmi guardare tutte le registrazioni. Mi chiedeva: “Chi di loro ti dice qualcosa? Chi ti sembra una versione più giovane della tua versione del personaggio?”. Quindi, sono stato davvero grato di essere stato coinvolto e ascoltato, e fortunatamente le nostre opinioni si sono allineate. Quando ho visto Rory, ho subito pensato che ci fosse qualcosa di così gentile in lui, ma allo stesso tempo, aveva anche l’aria del “ragazzaccio” con cui tutte le ragazze vogliono stare, ed era anche credibile che fosse un amante della musica, c’era una sorta di poesia in lui che sembrava funzionare. Quindi, con Rory, tutti sapevamo che valeva la pena rischiare e scegliere un attore che non aveva mai recitato prima nella sua vita.
Sì, penso che sia stato bravissimo. E voi due eravate davvero allineati, tutto era credibile.
Sì, ed è stato bellissimo perché Rory era così desideroso di imparare e non aveva paura di chiedere, voleva venire sul set, voleva guardarmi lavorare e girare alcune scene. Parlavamo molto, abbiamo trovato un elemento in comune davvero carino da integrare nel personaggio, perché dicevo spesso a Lucy che secondo me Daniel poteva soffrire di attacchi di panico, molto privati sia da ragazzo che da adulto. Così, abbiamo pensato ad una rappresentazione visiva di questi momenti. È un dettaglio molto piccolo, ma è qualcosa che collega visivamente i due personaggi, perché è qualcosa che hanno vissuto per tutta la vita.
Parlando di emozioni, in “Mix Tape”, nessuno è esplicito riguardo ai propri sentimenti, ronzano sempre un po’ in sottofondo, come una melodia ricordata a metà. È stata una sfida da interpretare o un sollievo?
È sempre difficile mostrare senza mostrare, per un attore è una bella sfida. Sono britannico, quindi è nella nostra natura tenere a bada tutte le nostre emozioni e non mostrarle a nessuno, quindi, lo capisco [ride]. In particolare in questa storia, la classe operaia nel nord dell’Inghilterra, una città industriale, sono persone molto dure, molto forti.
L’emozione è anche una questione di tempo: gli anni ’80 erano un periodo diverso per le emozioni, mentre oggi siamo molto più in sintonia e molto più connessi alle nostre emozioni. Negli anni ’80, invece, dove questi ragazzi della serie sono cresciuti, dovevi davvero tenere a freno quelle cose, quindi, era davvero importante che fosse tutta emozione repressa, intrappolata, dolore irrisolto che si portavano dietro.

“È sempre difficile mostrare senza mostrare”

Sì, assolutamente. Inoltre, in questa serie, la musica guida decisamente la narrazione. Alcuni dei miei brani preferiti di sempre sono stati inclusi: “Stephanie Says”, “Love My Way”, “Fluorescent Adolescent”, e molti altri.
Davvero? Questo mi rende molto felice.
Sì! Colonna sonora davvero fantastica. Qualche canzone specifica della serie, o degli anni ’80 in generale, ti è risuonata personalmente durante le riprese?
Massicciamente. La musica era una parte enorme del dialogo per tutti noi. Quando sono salito a bordo del progetto, ero molto nervoso riguardo alla musica. Non era ancora stata definita nella sceneggiatura, avevano solo fatto riferimento a poche cose, ma la musica è una parte enorme della mia vita. E in particolare in quel periodo, negli anni ’80 nel nord dell’Inghilterra, c’erano queste band molto specifiche che stavano emergendo, quindi nello show, la musica avrebbe potuto prendere qualsiasi direzione. La musica è molto personale, ognuno ha il proprio percorso, le proprie esperienze e riferimenti con la musica. Quindi, ero nervoso perché pensavo: “Chi sono questi ragazzi e cosa ascoltano?”.
Volevamo che questi ragazzi fossero veramente immersi nella scena musicale, quindi non ascoltavano la musica pop del tempo, ascoltavano le band underground che stavano emergendo.
Alcune delle canzoni presenti potrebbero non sembrare necessariamente canzoni romantiche, come la canzone alla fine dell’episodio dei Jesus and Mary Chain, che è piuttosto sporca e oscura, non una canzone romantica ovvia, e io stavo davvero spingendo per cose del genere. Continuavo a dire che questi ragazzi ascolteranno i lati B delle cose: non ascoltano i singoli, ascoltano i brani dell’album. È stato così incredibile essere in un team di persone che mi hanno ascoltato, tutti ci siamo appassionati al tipo di musica che avrebbero ascoltato.
Quindi, per rispondere alla tua domanda, c’erano un sacco di brani perché per me, crescendo, ascoltavo quella musica, anche se ero leggermente più avanti nella vita negli anni ’90, ma ero molto influenzato dalle band chitarristiche degli anni ’80 provenienti da Manchester. L’intera serie si apre con una delle mie canzoni preferite, che è un brano chiamato “Fools Gold” degli Stone Roses, che imposta perfettamente la scena.
Inoltre, ho visto la musica e la colonna sonora come il mio dovere di Daniel, perché Daniel era un amante della musica, quindi ho pensato di dovermi coinvolgere e farmi ascoltare dai produttori e dai finanziatori. Poi Lucy ha avuto delle bellissime idee, come i Velvet Underground.
La serie chiede sottilmente se il nostro primo amore ci abbandona mai veramente. Credi che smettiamo mai di essere le persone che eravamo quando ci siamo innamorati per la prima volta?
Ottima domanda. Credo che ti plasmi totalmente come essere umano, vero? Deve farlo. Tutto è così viscerale quando sei un adolescente. Certo, non tutti fanno questa esperienza, ma se ti connetti veramente con qualcuno in un modo profondo e osi innamorarti all’età di 15, 16 anni, fai le tue prime esperienze insieme, ti innamori della stessa musica, quindi è semplicemente inevitabile che non ti plasmerà completamente come persona, e spesso pensi a quella persona. Credo che sia per questo che lo show è stato accolto così, perché ha evocato tanti ricordi, persino le musicassette che tutti ricordano.
Mi vengono inviate un sacco di fotografie di vecchi CD e musicassette e cose che le persone hanno trovato in soffitta, e, naturalmente, tutti ricordano il loro primo amore.
Se potessi dare un consiglio a Daniel adolescente attraverso un testo di canzone, quale sarebbe? E per quanto riguarda il tuo io adolescente? Che testo di canzone nasconderesti nel suo armadietto?
C’è una canzone di una band chiamata The Charlatans, che era in voga in quel periodo, e il titolo della canzone è “I Never Want an Easy Life if Me and He Were Ever to Get There“. Penso che sia un’ottima scelta, sia per Daniel che per me.


Quando Daniel, sia l’adolescente che l’adulto, ascolta un brano da solo, è nella sua piccola bolla, in piedi immobile, e nulla sembra più importare. Credi in questa “teoria della bolla”, nell’idea che quando facciamo qualcosa che ci appassiona, per un po’ non esistiamo più nel mondo reale?
Vivo la mia vita in base a questo. Se chiedi a mia moglie, ti direbbe che la faccio impazzire. Una volta che le mie cuffie sono su, il mondo scompare perché crei il tuo mondo. Ecco perché amo la musica e il cinema. E ascolto molta musica con le cuffie: mia moglie ad esempio ascolta un po’ di musica in cucina mentre taglia una cipolla o qualcosa del genere, e per lei è abbastanza, è giusto per riempire la stanza, ma per me è diverso. Se sono entusiasta di un album, lo metto su, lo ascolto dall’inizio alla fine, metto le cuffie e sparisco per 45 minuti. Quando in realtà dovrei cucinare la cena, capisci cosa intendo? [ride] È la stessa ragione per cui mi piace fare musica, perché puoi scomparire completamente in un altro mondo.


“…puoi scomparire completamente in un altro mondo“.

Certo. E infatti, nella serie, c’è la sensazione che la musica ci conosca meglio di quanto noi stessi ci conosciamo, e le canzoni possono comunicare ciò che proviamo molto meglio di quanto le nostre parole potrebbero mai fare. A volte, anche io mi sento così. C’è mai stato un brano nella tua vita che ti ha dato l’impressione di capirti prima che tu lo facessi?
Sì, assolutamente. Non è solo una canzone, sono molte. Stavo capendo la vita attraverso queste canzoni e stavo acquisendo la mia identità con loro. Se mi chiedi qual è la mia band preferita, ti dirò che sono gli Stone Roses, ma la verità è che non ho ascoltato quella band tantissimo per molti, molti anni, ma erano la mia band preferita quando avevo 16 anni, quindi è quello che dico quando mi chiedono qual è la mia band preferita. Significava così tanto per me in quel momento della mia vita e nessun’altra musica significherà mai tanto quanto lo faceva quando hai quell’età.
Quindi, probabilmente ascolto più Nick Cave e Tom Waits e cose del genere che gli Stone Roses al giorno d’oggi, ma ti dirò sempre che la mia band preferita sono gli Stone Roses.


Vorrei che i mixtape fossero in voga ancora oggi, penso che fare un mixtape per qualcuno sia la dimostrazione più pura di amore e cura, è un momento di “creazione” in cui pensi a qualcuno e a ciò che ti fanno provare ed è il tuo unico pensiero, tenendo la mente occupata. È speciale. Se dovessi fare un mixtape oggi, quale brano includeresti assolutamente?
Dio, queste sono belle domande!
C’è una canzone chiamata “Cole Corner” di Richard Hawley, che penso sia uno dei più bei cantautori del mondo: fuma molte sigarette, beve chiaramente molto ed è molto “inglese del nord” nel suo atteggiamento, ma poi si siede con una chitarra e scrive la canzone più bella che tu abbia mai sentito in tutta la tua vita. Comunque, ho messo quella canzone su un mixtape per mia moglie quando ci siamo incontrati per la prima volta, ed è diventata la nostra canzone, è anche entrata in chiesa con quella canzone al nostro matrimonio. E ho fatto una playlist per la nascita di mio figlio, che era in modalità casuale per tutto il tempo, e nel momento in cui è nato, quella canzone è partita. È un dono di canzone.


È incredibile.
Tornando a Daniel, lui usa la musica per riconnettersi, ma anche per nascondersi. Tu cosa usi per lo stesso scopo?
Probabilmente la recitazione, e la musica, ma la recitazione in particolare. Fingendo di essere altre persone, perdendoti nella pelle e nelle vite di altre persone, impari molto su altre cose, ma impari anche moltissimo su te stesso. Quindi, mi nascondo sicuramente in alcuni di questi personaggi, ma mi sto anche riconnettendo a me stesso interpretando e avendo l’opportunità di vivere vite diverse. O non necessariamente vivere vite diverse, ma anche solo investigare vite diverse attraverso il mezzo della recitazione. Ho imparato così tanto sul mondo, su me stesso, su come cammino nel mondo, ed è perché ho interpretato tutti questi personaggi e ho sperimentato piccole sfumature di vite diverse, e questo mi ha sicuramente aiutato a diventare chi sono.

“Ho imparato così tanto sul mondo, su me stesso, su come cammino nel mondo, ed è perché ho interpretato tutti questi personaggi e ho sperimentato piccole sfumature di vite diverse”

Ora, cambiando argomento, vorrei parlare del tuo altro spettacolo “The Stolen Girl”. Essendo tu stesso un genitore, come hai reagito emotivamente a questa sceneggiatura? E come hai affrontato la costruzione del tuo personaggio, in particolare nel ritrarre le complessità di un padre e marito le cui azioni evocano sentimenti contrastanti nel pubblico che lo guarda?
Era una di quelle sceneggiature che capitano. Quando cerchi un progetto in cui essere coinvolto, e leggi sceneggiature, cerchi solo di trovare una reazione in te stesso, che tu trovi quella sceneggiatura esilarante o commovente fino alle lacrime o emozionante o qualsiasi altra cosa. Quella mi ha letteralmente fatto sentire male allo stomaco. L’ho letta e stavo provando una sensazione molto spiacevole. Ero un papà da poco, e penso che sia letteralmente la peggiore cosa possibile che tu possa mai immaginare che accada a te stesso o a chiunque altro, perdere tuo figlio. Quindi, sì, ho avuto decisamente una reazione, e ho dovuto seguirla perchè ne ero incuriosito.
Una delle cose davvero interessanti di quel progetto è che quando stai realizzando qualcosa di così orrendo e devi vivere con quei personaggi e quella situazione ed essere presente sul set, ovviamente, devi assorbire e sentire come potrebbe essere. C’è stata una scena particolare in cui abbiamo la conferenza stampa, e ricordo che stavo quasi per svenire. Il sangue mi è defluito dalla testa perché era così reale, hanno messo le nostre telecamere proprio in fondo alla stanza e l’abbiamo messa in scena, siamo stati presentati, e siamo saliti sul palco e ci siamo seduti lì e c’erano foto di questa ragazza scomparsa ed eravamo connessi al materiale. Ho pensato: “Questo è esattamente ciò che si proverebbe se stesse succedendo davvero a te”. È stato davvero traumatico.
Comunque, con questo lavoro, una delle cose interessanti che succedono quando si creano scenari traumatici è che alla fine ci si diverte molto sul set. Finisci per aggrapparti alle persone intorno a te con tutte le tue forze e c’è una sorta di giocosità che nasce dalla sopravvivenza che deriva dal fare un lavoro del genere.


Sei anche un musicista. Cosa ti ha fatto decidere quando era il momento giusto per presentarti con il tuo progetto?
Penso che il Covid abbia fatto la sua parte, di sicuro. Tutti abbiamo avuto del tempo a disposizione per riflettere sulle nostre vite e su cosa fosse importante e cosa no. E vari progetti musicali in cui ero stato coinvolto erano falliti, e sapevo che dovevo fare qualcosa da solo e metterci la testa in un esercizio catartico per certe cose che stavano succedendo nella mia vita. Inoltre, ero finalmente emotivamente in un ottimo stato, e poiché avevo superato molte cose, ero in grado di riflettere correttamente. E ricordo che quando stavo attraversando un periodo personale piuttosto difficile, le persone mi dicevano: “Puoi usare questo”. Ma non ci riuscivo. Quando sei dentro qualcosa, non riesci a vedere il bosco per gli alberi, ed è così finché non ti senti più a tuo agio e meglio dove sei, nella tua testa, e tutte le cose sono passate un po’ attraverso il tuo corpo.
Quindi, ero in quella fase, in cui sentivo di poter effettivamente scrivere di alcune di queste cose che stavo attraversando o di cose a cui stavo pensando. Un’altra cosa strana che è successa è che mi sono trasferito. Il mio pianoforte era rimasto bloccato in una stanza sul retro da qualche parte, nel mio vecchio posto, era coperto di scatole e vecchi vestiti e cianfrusaglie. Quando mi sono trasferito in una nuova casa con la mia attuale moglie, ed era un nuovo capitolo fresco nella mia vita, il pianoforte ha assunto un ruolo più centrale in casa, e avrei dovuto passargli davanti molto spesso. Stava lì; ogni tanto lo guardavo e continuavo la mia giornata. E poi un giorno mi sono seduto e ho pensato: “Farò un po’ di musica e starò seduto, suonerò un po’ il pianoforte”. È successo così in fretta, ma ho scritto una canzone intitolata “The Makeshift Numbers”, che è nel disco, una sorta di ballata al pianoforte. Ho sentito altri musicisti parlare di questa cosa, dove una canzone si scrive da sola, e tu non hai molta responsabilità per essa perché ti arriva semplicemente, sei lì e inizia a succedere.
Le parole, la melodia e gli accordi sembrano tutti aver aspettato di essere suonati, sai, e questo è successo davvero, la canzone è stata scritta organicamente e in quel momento. Era la prima volta che mi sedevo per provare a scrivere una canzone, e così ho pensato: “Ok, beh, ho scritto una canzone. Cavolo.” [ride] e: “Cosa succede se provo a scrivere un’altra canzone?” E poi, all’improvviso, la mia testa stava affondando in quei termini. Le mie antenne creative si erano alzate, e stavo cercando e ricevendo tutte queste cose: così è nato l’album.

Come distingui Jim il musicista da Jim l’attore in modo creativo?
Ci ho dovuto pensare parecchio perché quando stavo per pubblicare il disco, mi veniva posta questa domanda sulla musica e sulla recitazione. Sono la stessa cosa per me, e sono completamente diverse per me, tutto allo stesso tempo. So che è una risposta davvero scadente, ma penso che siano tutte sfogo di emozioni ed espressione, sono tutte qualcosa in cui posso semplicemente vivere. Fa tutto parte della narrazione e del tentativo di dare un senso al mondo. Quindi, c’è una continuità e qualcosa di unificato in tutto ciò. Ma sono anche così diverse, come andare a lavorare come attore, e sedersi con le cuffie e scrivere canzoni sono cose molto diverse. Hai una tela completamente bianca quando crei musica, mentre quando sei un attore, le parole e la storia sono già state create, e tu arrivi e cerchi di viverci dentro e di darle vita.
Qual è una serie TV o un film che hai guardato di recente e che ti è rimasto impresso per un po’?
Un film che ho visto e che mi è piaciuto molto, che ho rivisto di recente, si intitola “La persona peggiore del mondo“. Un po’ come “Mix Tape”, è una storia di relazioni adulte sfumate e di come affrontare la vita. È così romantico, doloroso e disordinato e poetico. Un film bello e poetico.


Sì, è piaciuto molto anche a me; è uno dei migliori film che abbia visto negli ultimi anni.
Qualche aneddoto divertente o qualcosa di accaduto su un set che ti piacerebbe condividere?
Ce ne sono tantissimi! C’è stata una volta in “Across the Universe” in cui io e Evan Rachel Wood stavamo filmando la scena con Bono, che cantava “I’m the Walrus”, e nella scena, tutti avremmo dovuto essere sballati e allucinati. Così, io ed Evan Rachel Wood abbiamo deciso che sarebbe stata una buona idea prendere dei funghi proprio quel giorno. Nessuno di noi aveva davvero battute in quella scena, dovevamo solo guardarci intorno, fare un po’ festa… Così, abbiamo preso un sacco di funghi [ride]. È stato fantastico, esilarante, divertente e tutte le cose che avrebbe dovuto essere fino a un certo punto. E poi abbiamo dovuto fare la scena in cui io ed Evan Rachel Wood dovevamo rotolare su un letto gonfiabile, e Julie Taymor, la regista, voleva che fossimo sciolti e rilassati, semplicemente sdraiati lì ed essere follemente innamorati e rotolare su questo letto. Ma mi sono convinto che il letto fosse fatto di vetro, quindi sentivo che non potevo essere rilassato perché avrei rotto il vetro da un momento all’altro. Julie gridava: “Rotolate, rilassatevi!” e io ero tipo: “Non posso!”, e credo che quello sia stato il momento in cui ha scoperto che eravamo fatti [ride].
Quindi, lei non lo sapeva!
Sì, non glielo abbiamo detto! Ma lo ha scoperto abbastanza in fretta [ride].
Beh, comunque è andato tutto benissimo. E qual è il tuo oggetto indispensabile sul set?
È una risposta un po’ strana, ma probabilmente è una banana [ride].
Ora è diventata una barzelletta ricorrente. Voglio sempre una banana, non so perché, penso che sia per il fatto che ti dà energie, ed è in qualche modo salutare, è meglio di una barretta di cioccolato. Ho fatto un lavoro di recente dove trovavo sempre bucce di banana nelle tasche dei miei costumi e delle giacche, e l’ultimo giorno, tutto il reparto costumi ha comprato dei costumi da banana e ha passato l’intera giornata vestito da banana perché ero diventato il “ragazzo banana” [ride].

Stavi dicendo prima di come recitare ti aiuti anche a conoscere meglio te stesso. Credo che la recitazione, infatti, così come fare musica, sia in realtà un modo per capire meglio la natura umana, e naturalmente te stesso, come hai detto, dal punto di vista di un artista. Qual è l’ultima cosa che hai imparato su te stesso grazie al tuo lavoro?
Stranamente, credo che, avendo raggiunto una certa età, stia iniziando a divertirmi di più.
Quando ho iniziato a recitare, era un modo per me di evadere dalla mia vita e fare cose più emozionanti e stimolanti di quanto la mia vita potesse offrire. Ero interessato a interpretare tutti questi personaggi diversi e a cambiare il mio aspetto, il modo in cui parlavo, il modo in cui mi muovevo, e a spingere per la trasformazione, fondamentalmente cercando di trasformare me stesso il più possibile. Credo che ora, invecchiando, sia molto più interessato a portare la mia vita nei personaggi. Sai, a questo punto hai sperimentato abbastanza nella vita e hai attraversato molte cose emotive e le montagne russe che sono la vita di tutti. E ora sento di poter portare molte di queste cose nei personaggi. Ciò che conta è essere sempre empatici con le persone, e sapere che ognuno proviene da una prospettiva diversa, onorandola. Il modo migliore per capire le persone è empatizzare e vedere il loro punto di vista e portare questo nella mia vita è qualcosa che ho sicuramente imparato attraverso la recitazione, perché devi farlo. Devi empatizzare con chiunque tu stia interpretando, anche se stai interpretando un personaggio davvero sgradevole. Anche se il comportamento sembra deplorevole, devi scavare a fondo e ottenere una prospettiva.

“Il modo migliore per capire le persone è empatizzare e vedere il loro punto di vista e portare questo nella mia vita è qualcosa che ho sicuramente imparato attraverso la recitazione perché devi farlo”.

E cosa stai leggendo in questo momento?
Ho appena letto un libro davvero eccezionale intitolato “One Day, Everyone Will Always Have Been Against This” di Omar El Akkad. È un saggio di questo giornalista che parla di empatia e compassione, riferendosi alla situazione palestinese. Tutto è raccontato in modo così poetico e articolato, e mi ha molto commosso. Non prende alcuna posizione politica o religiosa, discute solo di cosa significa capire che questo sta accadendo nel mondo e come si risponde a queste cose. E poi ho letto un libro su Neneh Cherry. Sai chi è Neneh Cherry?
No!
Era un’artista musicale molto famosa negli anni ’90. Leggo molte biografie, amo leggere libri su altre persone, e Nina era una cantante, una donna molto cool, meticcia, splendida, vibrante, intelligente, elettrica, artistica. Non sapevo molto della sua vita prima di leggere il libro. In realtà l’ho comprato per mia moglie e poi l’ho preso in vacanza perché lei non lo stava leggendo, così ho iniziato a leggerlo. Amo la sua musica, faceva canzoni “dance” e “pop” anni ’80, ma ha condotto una vita straordinaria. Suo padre era un musicista jazz africano che si era trasferito a New York e poi in Svezia e aveva incontrato sua madre, una pittrice e scultrice poetica, e hanno viaggiato per il mondo insieme. Poi suo padre è diventato dipendente dall’eroina. Voglio dire, non avevo idea che avesse avuto tutto questo incredibile retroscena. È un libro fantastico, lo consiglierei a chiunque. Il mio libro preferito è “Just Kids” di Patti Smith, comunque. Penso che sia uno dei libri più romantici che abbia mai letto.


Parlando di romanticismo, cosa ti piacerebbe vedere fuori dalla finestra, in questo momento e sempre e per sempre?
L’oceano. Sono decisamente una persona da oceano. Perché vivo nel cuore dell’East London, non lo so. Non mi puoi tirare fuori dall’acqua, la amo e basta, mi calma, è medicinale, mi sento meglio con tutto una volta che mi sono tuffato nell’oceano. Se lo vedo, devo entrarci, anche se fa un freddo cane. Mia moglie alza sempre gli occhi al cielo quando le dico di fermare la macchina perché voglio solo andare a fare una nuotata nell’oceano. E qualcuno mi ha detto, e ci credo fermamente, che non ti penti mai di uscire dall’oceano, non importa quanto facesse freddo, non importa quanto fosse difficile entrare, esci sempre e dici: “Sai, soffro d’ansia, quindi, quando entro in acqua e nuoto (e a volte più fredda è, meglio è), tutto va a posto, tutto è migliore”.
Qual è stato il tuo più grande atto di ribellione?
Intraprendere la carriera di attore è stata in qualche modo una forma di ribellione, in modo strano. Quando ho deciso che aveva senso, e che avrei perseguito questa strada, quello è stato un grande momento.
La ribellione è stata seguire qualsiasi cosa mi facesse sentire vivo ed emozionato. Stranamente, non sono mai stato ambizioso. L’ambizione in qualche modo implica che sai dove stai andando, o che vuoi qualcosa, e che non ti fermerai finché non lo ottieni, ma io non sono mai stato così. Non credevo che sarei diventato un attore o avrei fatto musica, ma avevo molti sogni di poterlo fare. E così, la mia ribellione è semplicemente fare ciò che mi piace fare, e se non mi sento bene, allora semplicemente non lo faccio. Penso che mio padre si arrabbi, perché faccio solo quello che voglio [ride].

“Non credevo che sarei diventato un attore o avrei fatto musica, ma avevo molti sogni di poterlo fare”.

E qual è la tua più grande paura?
Il rimpianto, credo. Una volta qualcuno mi ha detto che la paura è temporanea, il rimpianto dura per sempre. È una buona cosa da ricordare perché a volte potresti aver paura di qualcosa, ma se non lo fai, te ne pentirai.
Cosa significa per te sentirti a tuo agio nella tua pelle?
Credo significhi semplicemente sentirsi appagati, con i piedi per terra. Mi ci è voluto molto tempo per sentirmi così. Ora lo faccio, ma ci sono voluti buoni 45 anni per arrivarci. Negli ultimi due anni, mi sono sentito più a mio agio di quanto non lo sia mai stato. È una cosa molto personale, vero? Una connessione molto personale con se stessi che alcune persone trovano abbastanza rapidamente nella vita, ma altre no. Io decisamente no. Ma quando finalmente hai una famiglia e tutte le tue priorità cambiano, non sei la persona più importante della tua vita. Infatti, probabilmente sei la quarta o quinta o anche sesta o settima persona più importante della tua vita, e c’è una sorta di pace che deriva da questo. Ti liberi di tutta la follia e l’assurdità che hai inseguito per non so quanti anni, e inizi a lasciar andare tutto e a sentirti molto più rilassato e più contento. La felicità non è qualcosa che dovresti inseguire.
Riguarda più la concretezza perché non sarai mai semplicemente felice tutto il tempo.

Un’ultima domanda per te. Qual è il tuo posto felice?
Probabilmente guardare la TV con la mia famiglia e del cibo da asporto. È così semplice. Specialmente con i miei ragazzi ora, anche se sto guardando un cartone animato, mi piace stare lì tutti insieme e condividere quel momento. Non vedo l’ora che crescano e che io possa iniziare a mostrare loro i film che amo. Ma per ora, sono felice di guardare “Peppa Pig” (probabilmente con le cuffie) [ride].
Giusto [ride].
In realtà, mi sento davvero felice anche quando sono in una comunità di persone, ed è per questo che sono dipendente dal fare film e programmi televisivi, ed è quello che amo della recitazione, cosa che non ottengo necessariamente facendo musica. Mi sento così felice quando sono con un gruppo di persone e stiamo tutti cercando di realizzare la stessa cosa. C’è un cameratismo, un senso di unione e un’esperienza condivisa che ho inseguito per tutta la vita. Ho recitato in uno spettacolo quando ero molto giovane, a scuola, e mi è piaciuto molto il processo di provare e costruire questa cosa e avvicinarci sempre di più.
Mi è piaciuto che dalla scuola ci si sposti al teatro, e si vedono le luci, e la scenografia, si provano i costumi e tutti spingono per la stessa cosa. Ora, lo ottengo facendo film, dove ci si incontra tutti, si è tutti sconosciuti e ci si innamora di tutti molto rapidamente. Tutta la troupe, il cast e coloro che sono coinvolti cercano di realizzare una cosa insieme, e questo è un luogo davvero eccitante e felice.

Photos & Video by Johnny Carrano.
Styling by Gareth Scourfield.
Grooming by Nohelia Reyes.
Thanks to CLD Communications.
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